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Ortigia Sound System: fare festa, fare cultura

Superata la pandemia, l'OSS punta a entrare nel circuito europeo dei festival con una formula vincente: musica elettronica ricercata e legami stabili con il territorio. No, non è il Jova Beach

Foto di Giacomo De Caro

Mi sembra incredibile sia passato solamente un anno – e nemmeno uno facile visto quanto è successo in questi 365 giorni – da quando ho messo piede ad Ortigia per la prima volta. Mentre vedo l’isola spuntare oltre i ponti di Siracusa città, non sembra passato che qualche giorno: nell’aria mediterranea il tempo ha un altro peso, un’altra consistenza, un altro significato.

Mentre sono ancora sul transfer, il driver mi passa il suo telefono. È mio fratello, dice. «Mattia, sono Lele. Come stai? Mi spiace non esserti venuto a io a recuperarti di persona ma qui, sai, è un casino in ‘sti giorni. Quando andiamo allo stadio assieme? ‘Sta stagione promette bene, eh. Al ritorno ti accompagno io, così ci facciamo una chiacchierata». Lele è un giovane padre di famiglia ed era stato il mio driver un anno fa, mi parla con entusiasmo e passione come se ci fossimo visti un paio di settimane fa.

All’arrivo a Ortigia trovo Alberto, un’altra conoscenza dell’ultima edizione nonché proprietario de La Residenza del Reginale, un B&B dove sono ospite per il secondo anno di fila (nella stessa camera, giusto per continuare il déjà vu) che mi offre una granita fatta in casa con i gelsi raccolti dal giardino del nonno. «Questa non è per tutti, è solo per chi è davvero di casa», mi dice. Lo ritrovo impegnato come sempre, forse di più, essendo diventato da questa stagione l’accommodation manager del festival.

Contatto Loris, la mia guida spirituale dell’isola. Ho la sensazione di averlo visto spesso in questi dodici mesi, ma anche questa è un’allucinazione mediterranea. Con la sua nuova avventura (con altri ragazzi del posto), Oya, è stato inserito all’interno del programma del festival con una serie di talk. Il tempo qua non passa mai, ma le cose accadono: sud e magia direbbe Ernesto de Martino.

Anche lo stesso Ortigia Sound System è mutato, o meglio, è magicamente tornato alla normalità dopo l’edizione pandemica: tre giornate di dj set tra il sole e il mare dell’incantevole lido OSS, main event serali al Castello Maniace, due notti di after nel giardino del Km0, oltre una serie di talk, performance e incontri collaterali sparsi per la città. Musicalmente è invece chiaro che l’OSS abbia un obiettivo chiaro: entrare in un certo circuito di festival legati principalmente a un’elettronica vivace e sperimentale, in cui il ballo e il corpo hanno un ruolo chiave. Una geografia che in Italia ha tappa in festival e eventi come C2C, Terraforma, Nextones, Lost.

L’OSS infatti non è un festival di grandi nomi, esclusi forse i Tangerine Dream, gran bel pezzo di storia della musica elettronica, ma gli act presenti in cartellone sono quelli giusti, in cui elettronica e sperimentazione camminano a braccetto. Si passa da Kelly Lee Owens a Loraine James, da Lyra Pramuk a John Talabot, da Overmono a Vanishing Twin, con una proposta che ha l’obiettivo di far ballare, senza sosta, dal primo disco suonato in tarda mattinata al lido fino all’ultimo suonato all’after alle 10 del mattino.

Non solo un cartellone intrigante quindi, ma anche un festival dal respiro internazionale con una bella presenza di pubblico straniero curioso (e una serie di artisti italiani come Mace, Caterina Barbieri, Colapesce) con cui è davvero facile avere conversazioni. Yuri, che lavora nel mondo dell’arte di Amburgo, mi dice che è qui con un bel gruppo di amici per i Tangerine Dream mentre Anjuli, da Miami, ha approfittato del suo viaggio in Europa per raggiungere Ortigia per i set di Yu Su e Overmono, di cui è grande fan. Lea, da Cologna, mi spiega che lo scorso anno è passata per l’isola e, avendo visto il cartellone di OSS, ha obbligato le amiche a tornarci l’anno seguente, mentre Marlene, dal Canada, anche lei in Europa per l’estate, è venuta a supportare un’amica invitata a uno degli eventi esterni al festival, perché portare un festival così vivo in una città sprona spazi e promoter locali a investire e creare situazioni alternative.

Foto di Stefano Mattea

Ho inizialmente citato Alberto, che da proprietario di un B&B è passato a collaborare internamente con il festival, Loris, che si è inventato una nuova realtà artistica con cui lo affianca, e Lele, che ne continua il rapporto da esterno, non perché solo perché sono tre persone che mi stanno molto simpatiche (anche se a volte sarebbe bello poter scrivere solo di persone che ci stanno umanamente simpatiche), ma perché rappresentano il perfetto esempio di un rapporto attivo tra un festival come OSS e la città. Nei giorni in cui è sempre più evidente come i grandi eventi tipo i Jova Beach Party siano astronavi usa-e-getta che nulla hanno a vedere con il luogo, gli abitanti e le realtà locali, dimenticando, quindi, il concetto stesso di cultura che sta alla base di festa e festival, OSS è una boccata d’aria in un giorno afoso.

Yuri, Anjuni, Lea e Marlene rappresentano invece l’apertura al mondo. Non sono solo persone che vanno a un festival, ma persone che mangiano, bevono, dormono ad Ortigia, contribuendo alla piccola economia locale e che, successivamente, parlando, conoscendo, interessandosi, potrebbero scoprire festival e artisti italiani e decidere, chissà, di tornarci in futuro.

Suona quindi contro-concettuale (un modo educato per non dire stupido) il tentativo della giunta comunale di ostacolare il festival, costringendolo all’ultimo momento a una serie di cambiamenti (tra cui l’orario di chiusura delle serate). Un’attitudine politica ben conosciuta tra chi organizza eventi e festival in giro per il nostro Paese. Ma finché la musica sarà vista come mero intrattenimento, svuotato dal valore culturale che progetti come OSS portano, la situazione rimarrà immobile. Non si può sempre e solo investire nel turismo di massa, nei grandi eventi buttati in calendario per risanare le casse comunali, ma bisognerebbe aver il coraggio e l’intelligenza di essere lungimiranti, attendere, migliorare, costruire, proprio quello che sta facendo OSS e i festival che abbiamo citato in precedenza.

Quindi come potete aver intuito, questo articolo lo sto scrivendo mentre sono ancora ad Ortigia. Avrei dovuto farlo a Milano, ma l’amore per le persone conosciute al festival in questi giorni mi ha fatto decidere di buttare un volo pagato e posticipare la partenza di un paio di giorni: qui mangerò, berrò, dormirò e nei prossimi mesi racconterò della celebre “esperienza Ortigia” a molte persone, mentre altre leggeranno il mio pensiero qui. Di queste, probabilmente quelle sfinite dai miei racconti, arriveranno la prossima estate sull’isola per mangiare, bere, dormire (e ballare ballare ballare) e nei mesi successivi racconteranno di questa loro magnifica esperienza attivando – eventualmente – un circolo virtuoso senza fine.

Non resta quindi che una domanda, facile facile: ma come è possibile che il mondo politico e delle amministrazioni comunali fatichi così tanto a capire qualcosa di così semplice? L’unica soluzione è continuare a fare: fare cultura, fare festival, fare festa. Proprio come OSS.

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