Ortigia Sound System ha fatto il grande passo | Rolling Stone Italia
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Ortigia Sound System ha fatto il grande passo

Da Moroder a Neon Indian, dai Kokoko! a Colapesce, il festival boutique a Siracusa è finalmente diventato ciò che ha sempre voluto essere

Ortigia Sound System ha fatto il grande passo

Girgio Moroder e Neon Indian. Foto di Ivan Cazzola

«Sai, a me piacciono le musichine allegre, un po’ velocine» mi aveva detto Giorgio Moroder col suo forte accento altoatesino, nel salotto di casa sua a Ortisei qualche tempo fa. «Non ci posso fare nulla, è più forte di me.» Sta forse in questa confessione il segreto del suo successo, qualcosa di completamente trasversale agli stili, ai generi, alle nazioni, alle generazioni?

Voglio dire, l’avete mai visto voi su questo pianeta un 79enne che mette dischi dance davanti a folle di giovinastri da ogni parte del mondo? E tutti (dico tutti) sanno perfettamente il testo di ogni pezzo che il suddetto ottuagenario ha scritto nella sua vita? Io una cosa del genere non l’avevo mai vista fino a venerdì scorso, all’Ortigia Sound System di Siracusa. C’è da dire che i pezzi in questione, da Neverending Story a Love To Love You Baby, erano tutti vestiti di abiti un po’ eccentrici, con una forte cassa dritta cucita apposta per l’occasione: il DJ set del maestro al Castello Maniace di Ortigia.

Colapesce. Foto di Ivan Cazzola

«Quando l’ho visto suonare a New York qualche tempo fa, i pezzi in effetti erano tutti originali» mi racconta Alan Palomo aka Neon Indian nel backstage, prima di confidarmi di voler andare a Milano «a comprare vinili di Battiato» (perfettamente coordinato con il tema di Ortigia di quest’anno: il Sentimiento Nuevo). Ma «Moroder è sempre Moroder, può fare quello che vuole» sentenzia Alan mettendo d’accordo anche la sua manager.

MYD. Foto di Ivan Cazzola

Per inciso, fino a sabato mattina ero convinto che il set di Neon Indian, in apertura a Moroder, fosse il migliore di tutto il festival. È difficile battere il live di un messicano naturalizzato texano che ha il pallino per la italo disco e te la serve dal vivo con camicette tropicali, tastieroni Moog e doverosi sculettamenti. Poi però è arrivata la sera di sabato e con essa il live dei KOKOKO!, e allora il primo posto in classifica si è aggiornato. Cinque musicisti, di cui un produttore parigino e quattro mostruosi performer congolesi, praticamente delle macchine ma con il carbonio al posto del silicio. Ritmi ossessivi e ancestrali, chitarre perfettamente sghembe, percussioni ricavate da materiali di scarto, elettronica. Li vorrei headliner di ogni festival.

Menzione speciale per i classici boat party che sono un po’ il valore aggiunto del festival, per Venerus che merita un pubblico più vasto di quello che ha, per Myd che vabbè è un ED Banger quindi chi sa, sa e infine per Colapesce che non ho visto perché non ero ancora in Sicilia ma dalle foto e dalle voci (fonti attendibili) pare proprio sia stato un signor live dalla barca.

Neon Indian e band. Foto di Ivan Cazzola

Fra logistica, proposta artistica e affluenza, è abbastanza evidente che Ortigia Sound System abbia fatto il grande passo. Da festival boutique col linoleum per terra, ora è un festival boutique con il parquet in noce, per usare una metafora da artigiani. È vero, ho sempre pensato che un evento in un posto del genere sarebbe una figata anche se ci suonasse Francesco Renga unplugged. Ma vuoi mettere Slumlord suonata da Neon Indian al posto di “Angelo, prenditi cura di lei”?

KOKOKO! Foto di Ivan Cazzola

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