Organizzare un festival in Italia è, di per sé, un bel delirio. Una montagna di burocrazia, una sfida con il contesto in cui ci si inserisce, un braccio di ferro continuo con le istituzioni per location, decibel, capienze. E ancora i cachet degli artisti schizzati alle stelle, le spese vive schizzate alle stelle, i costi fissi schizzati alle stelle. E poi – per renderla ancora più impossibile e imprevedibile per quest’estate – aggiungiamoci un incendio che manda in crisi l’aeroporto di riferimento dirottando voli a 2/4/6 ore di distanza dal luogo del festival, con cancellazioni last minute. Non è abbastanza? Ok, mettiamoci anche degli incendi dolosi nella tratta stradale circostante nei giorni appena prima del debutto del festival. Ecco, se un festival sopravvive a tutto, e lo fa anche in maniera egregia, è davvero un bel segnale.
Nello specifico stiamo parlando dell’Ortigia Sound System, il festival che si tiene ogni fine luglio a Ortigia, il quartiere isolano di Siracusa, in cui siamo tornati per la terza volta. Diciamolo subito, per l’OSS non sono stati anni semplici. Prima la pandemia, che ha interrotto la manifestazione nel 2020, poi le misure post-covid che hanno influenzato in maniera importante l’edizione del 2021 e infine l’incendio all’aeroporto di Catania di quest’anno che ha condizionato – e condizionerà ancora per molto – non solo il festival, ma tutta la mobilità e il turismo legati alla Sicilia nel momento clou della stagione estiva. Nonostante questo – che tramutato in fatti significa una folle dose di lavoro addizionale per chi segue la logistica di voli, scali, transfer, oltre le cancellazioni last minute di artisti (praticamente impossibile volare dai paesi extra-europei, compresa naturalmente l’Inghilterra che portava svariati nomi in cartellone e che non sono fisicamente riusciti ad arrivare) – l’OSS si è strenuamente difeso portando a casa la sua edizione più complessa e variegata.
Come vi abbiamo raccontato nelle due edizioni precedenti la forza di questo festival è proprio quella di essere calata in una realtà umana, culturale, paesaggistica che ha ben pochi rivali al mondo. L’Ortigia Sound System ne è ben consapevole e quest’anno, più che mai, ha coinvolto un numero maggiore di realtà locali all’interno del festival. Oltre ai consolidati stage al Castello Maniace e al lido OSS (e una nuova location per gli after), una nuova partnership con i Fratelli Burgio (istituzione gastro-culturale dell’isola) ha portato due nuovi palchi: quello al mercato in cui la radio greca Movement ha curato una line-up giornaliera di dj a musicare il pranzo e quella al porto per le due serate preview di mercoledì e giovedì. E poi ancora il Teatro Comunale per il concerto di Marina Herlop, i talk all’ex-convento di San Francesco D’Assisi e – soprattutto – il ritorno dopo una pausa iniziata con la pandemia di una delle particolarità principali del festival, i boat party, grazie alla collaborazione con La Barca Ortigia. Ed è questo radicamento con la Ortigia a rendere l’OSS un’esperienza incredibile, qualsivoglia disastro possa accadere dentro e fuori dal festival.
Quest’anno è stato anche il passaggio definitivo del festival al mondo clubbing e all’elettronica, preannunciato già nella scorsa edizione. In pratica si balla sempre. A pranzo al mercato, al pomeriggio al lido, all’aperitivo in barca, alla sera al Maniace, la notte e la mattina all’after. Risultato: sull’isola nel weekend ci sono più dj che gatti (e qui i gatti sono sacri), più clubber che turisti. Costruendo tutto in funzione del ballo, però, il main stage non è più il centro delle giornate, sostuito così dai due after di venerdì e sabato notte, attesi e aspettati con foga dal pubblico (c’è chi dopo il mare va a dormire con la sveglia puntata alle 3 del mattino per incamminarsi verso l’after). Da un lato questo gran ritorno alla collettività della danza è una sana risposta al un long-post-covid che ha riportato le persone a (ri)sentire i propri corpi vivi, ma dall’altro penalizza il main stage che risulta sbilanciato nella proporzione concerti/dj set rispetto agli anni passati. Questo crea una sorta di fomo-psicoattiva, una psicosi del ‘bisogna andare a ballare’ che contrasta con la vita lenta della vacanza e anche con quella dell’isola stessa. Forse ripensare giornate con meno eventi (o con eventi più dilatati) e avere un main stage rivolto maggiormente all’ascolto potrebbe aiutare ad allentare questa tensione e creare dei momenti di pensiero, di rilassamento, di riposo attivo. In fondo un festival dovrebbe essere una fuga, non un invito a non smettere mai.
Detto questo, parliamo di un festival in cui – piccole sbavature comunicative a parte (una maggiore trasparenza a monte nelle comunicazioni aiuterebbe il pubblico in questo labirinto di eventi) – si sta bene. Si sta bene perché le persone ti fanno stare bene, perché i gli artisti coinvolti sono ricercati e stimolanti (pensiamo a Kode9, Nikki Nair, Nick León con Bitter Babe, Nídia, Acid Arab – che abbiamo intervistato qui), perché il luogo, il cibo, l’atmosfera sono incredibili come in nessun altro luogo festivaliero italiano. In ogni bar, ristorante, vicolo, spiaggia di Ortigia incontri amici e persone conosciute al festival, in un clima quasi utopico da villaggio ideale. E allora una deviazione su qualche aeroporto minore può essere supportata e qualche errore logistico può essere digerito, con la speranza che il prossimo anno ci siano meno problemi esterni e una maggiore attenzione all’interno, al pubblico. L’Ortigia Sound System vive; ed è più forte degli incendi.