Charli XCX è il simbolo di un pop che in Italia è impossibile | Rolling Stone Italia
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Per il pop italiano Charli XCX è un’utopia

Più che un concerto, Charli XCX ha portato a Milano una festa inclusiva e coloratissima, il simbolo di un'idea di pop e di comunità che, nel nostro paese, forse non vedremo mai

Charli si posiziona per l’intervista. Veste in sfumature di panna, dalla gonna leggera alla maglia con fantasia di piccole mezzelune nere. «Il mio profilo buono è quello sinistro», dice mettendosi di trequarti lasciando che la lunga coda le cada sul petto. Io sono seduto dietro l’architettura di luci che illuminano il suo volto e scherzo: «io non ho profili buoni, per questo non mi mettono nell’inquadratura». Lei mi sorride. «Tesoro, non hai un profilo migliore perché tutti i tuoi profili lo sono».

Questa è Charli XCX, un misto di dolcezza, autoironia, sicurezza che convivono con l’atteggiamento della popstar mondiale ibridata a quella della sorella maggiore. Una giovane donna che, dopo successi come I Love It, scritta da lei per le Icona Pop, Boom Clap, colonna sonora di Colpa delle stelle, teen drama di enorme successo al botteghino, e Fancy, hit globale con Iggy Azalea con la quale hanno quasi raggiunto il miliardo di views su YouTube, nel 2016, ha preferito abbandonare la via più sicura per intraprendere un percorso artistico alternativo e inedito, con l’idea di poter scrivere un nuovo pop futuristico e inclusivo, radunando attorno a sé una squadra di produttori e artiste d’avanguardia come il collettivo PC Music. In poche parole, e nel miglior senso possibile, Charli è una pazza totale.

«Ho scoperto SOPHIE su SoundCloud, le ho scritto se voleva partecipare a una mia session a Stoccolma e così ci siamo ritrovate a lavorare al nostro EP, Vroom Vroom». Da quel momento è apparsa un’altra Charli XCX: la ragazzina da classifica ha lasciato il posto alla popstar del futuro capace di pubblicare successi di critica come Number 1 Angel e Pop 2, mixtape matti e sperimentali, e il nuovo e affascinante album, Charli, che ha spezzato l’ipotetica trilogia di mixtape perché «era arrivato il momento di fare un album e andare in tour».

Questi dischi hanno il pregio di essere diventati piattaforme per artiste della community LGBT+ che, con il loro lavoro, hanno arricchito e influenzato questa evoluzione sonora ed estetica da prospettive inedite per il mondo del pop mainstream. «Non penso che queste persone debbano essermi grate per aver dato loro uno spazio in cui esprimersi, hanno tutti le loro magnifiche carriere a prescindere da me. Sono io che devo essere grata a loro per essere sempre al mio fianco». Un rapporto che con naturalità è continuato anche in questo primo tour mondiale da headliner con la scelta di opening act come Brooke Candy, Tommy Genesis, Allie X, Slayyyter, Rina Sawayama, Dorian Electra. Il live di Charli XCX è proprio una festa inclusiva dove il suo coloratissimo pubblico è continuamente chiamato a giocare e a mettersi in gioco. Un luogo sicuro dove Charli può far esibire artiste della community LGBT+ locale, come dimostra la presenza sul palco delle drag di Drama Milano durante I Got It, brano che nella versione studio ospita Brooke Candy, CupcakKe e Pabllo Vittar.

Charli – di per sé – è una forza della natura. Tiene il palco da sola, per un’ora e mezza, senza perdere mai di intensità. Nonostante un’affluenza ridotta, la sua performance è una lezione di professionalità. Salta, balla, corre. E il pubblico salta, balla, canta con lei, totalmente rapito dall’energia propagata della sua paladina cui lo stage, un cubo illuminato e un muro di luci, è l’habitat ideale. Charli esegue Charli nella sua totalità (una dichiarazione d’intenti piuttosto forte), recuperando ben poco dal passato, se non alcune hit come Boys, Unlock It, Track 10, I Got It e quella I Love It che fa esplodere il pubblico milanese come fossimo nel 2012. Erotica e potente, ironica e strafottente («sono la più grande popstar vivente», scherza dal palco), è l’esempio perfetto di empowered woman, una donna che in tre anni è stata capace di pubblicare altrettanti dischi e produrre una serie per Netflix (I’m With the Band: Nasty Cherry). E per noi del pubblico di Milano è un privilegio vedere da così vicino una donna e una pop star di questo livello.

Quando ci lascia dopo l’hit single 1999, il palco è un arcobaleno di luci. Charli XCX è un’utopia per il mercato italiano, ma una premonizione di un futuro, un’icona di una comunità. Se non la conoscete ancora perché, per qualche ragione, avete vissuto gli ultimi dieci anni da eremiti, ricordatevi questo nome. «I’m Charli XCX, motherfuckers».

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