Poca evoluzione, tanto successo: Sfera Ebbasta ha vinto anche al Forum | Rolling Stone Italia
Un privé di 11.500 metri quadri

Poca evoluzione, tanto successo: Sfera Ebbasta ha vinto anche al Forum

Quattro date sold out al palazzetto di Assago, pubblico intergenerazionale, un’ovazione a canzone. Il trapper ripropone il suo personaggio immutabile e ai fan va benissimo così

Poca evoluzione, tanto successo: Sfera Ebbasta ha vinto anche al Forum

Sfera Ebbasta

Foto: Lorenzo Villa

Il quadruplo sold out di Assago rappresenta la vittoria schiacciante di Sfera Ebbasta sul tempo che passa. Intanto perché un minimo colpo d’occhio conferma che il consenso per bravo ragazzo dei brutti quartieri ha trasceso la generazione che l’ha portato al successo, quella a cavallo tra i tardi millennial e le prime annate gen Z, e coinvolge senza intoppi anche i sedicenni di oggi. In secondo luogo perché il suo pubblico raggiunge nei suoi confronti livelli di idolatria quasi religiosi.

La quantità di hit contenute nella scaletta di questo tour nei palasport è importante e dimostra, come una sorta di promemoria di platino, la continuità negli anni da un punto di vista discografico, e da sola è sufficiente a spiegare come mai tra tutti i nomi cult della scena trap delle origini (italiane) sia quello che, senza particolari deviazioni dal tracciato, è riuscito a raccogliere i risultati più stabili e redditizi. Il sound ormai storicizzato della trap post 2015 è un brevetto che appartiene per buona parte ai suoi dischi e, riascoltando i primi brani a quasi dieci anni di distanza, non si può non riconoscere che il talento melodico, che negli anni gli è stato attribuito così tante volte da rischiare di diventare poco più che un luogo comune, era un fatto reale. Infine, l’influenza che questi brani hanno avuto sia sulla discografia, sia sul modo di essere e di comportarsi di un’infinità di persone è, con il senno di poi, un fatto certificato: il Forum è pieno di gente che si veste come lui, che si muove come lui, che si atteggia come lui e soprattutto questa cosa accade da anni in ogni parte d’Italia.

Il concerto non è strettamente collegato a necessità promozionali di qualche disco nello specifico (l’ultimo album X2VR è uscito nel 2023 e ha già avuto il suo tour nel corso del 2024) e quindi la scaletta può attingere molto più liberamente tra i cinque album e i tanti singoli pubblicati in dieci anni di carriera. A dare sostanza alla tracklist è Rockstar, che alla luce di una prospettiva più distaccata data dai sette anni passati dalla pubblicazione, risuona probabilmente come quel disco che meglio di tutti saprà spiegare ai nostri figli cos’è stata la trap italiana: non necessariamente il più bello, non necessariamente il più “puro”, ma sicuramente il più compiuto e consapevole, almeno tra quelli che hanno sbancato per davvero anche da un punto di vista commerciale. In ogni caso, con Serpenti a sonagli, 20 collane, Tran tran, Cupido, Rockstar e Ricchi per sempre, è rappresentata in scaletta più di metà del disco originale.

Altri momenti particolarmente partecipati del live sono ovviamente i grandi classici degli esordi, con menzione speciale per il quartetto finale composto da XDVR, Ciny, BRNBQ e Visiera a becco, che ha aperto il concerto, e in generale non c’è un pezzo che non sia accolto con ovazioni da cavallo di battaglia e che non venga cantato a memoria da buona parte dei presenti. Volendo, ci sarebbero tutti gli elementi per parlare di grande successo, e sicuramente per migliaia di persone presenti è stata una serata indimenticabile. 
Eppure c’è qualcosa che non torna, e che spinge a pensare che la vittoria di Sfera abbia in sé qualcosa di intrinsecamente preoccupante.

Innanzitutto Sfera è totalmente sfasato rispetto al mondo che va avanti: perennemente identico a sé stesso ormai da quasi dieci anni, soltanto meno ispirato rispetto ai primi dischi, porta avanti una narrazione, la solita, che oggi risulta quasi irritante, sicuramente posticcia e stridente rispetto allo spirito dei nostri tempi, totalmente diversi rispetto all’edonismo diffuso di circa dieci anni fa. Viene difficile spiegarsi la provenienza del carisma di un uomo di 32 anni in grado di ipnotizzare e suscitare immedesimazione in migliaia di persone mentre si lamenta del fatto che bottiglie e privè non valgono niente se al suo fianco non c’è la ragazza a cui è dedicata la canzone o, come nell’agghiacciante interludio in cui la voce recitata di Sfera accumula una serie di frasi estratte direttamente dallo stesso prontuario concettuale su cui ha costruito la sua intera carriera, del fatto che “il tetto della Rolls non è come le stelle di Cinisello” e che “la casa di 300 metri quadri è solo un posto in cui fumare soli”. Ma la gente si commuove davvero su Bottiglie privè, ragazzi e ragazze si abbracciano e lo intonano come un inno esistenziale, come se stesse parlando proprio a loro e di loro e non di una vita totalmente inarrivabile per la maggior parte dei presenti e forse quasi immorale, e l’interludio è accolto con un’ovazione.

A questo, come da dieci anni a questa parte, si potrebbe aggiungere la violenza verbale verso le donne onnipresente e cantata a squarciagola da migliaia di persone, ragazze comprese, non tanto per volontà di “bacchettamenti” morali, quanto per ribadire la dissonanza e l’inspiegabilità di un tale carisma. il controllo di Sfera sulle menti e i cuori del suo pubblico è totale, e la solita celebrazione della sua storia di riscatto diventa la celebrazione del riscatto di tutti, in un rapporto tra artista e pubblico che è davvero ricalcato sul modello di quello tra divinità e fedeli: il primo intrappolato in un ruolo monolitico e immutabile, i secondi in totale sospensione del giudizio.

Altra cosa identica a sé stessa da ormai tanto tempo è, per così dire, lo sforzo che Sfera mette nei suoi show: rivedibile sulle call to action al pubblico, (i tormentoni “money gang”, un triplice promemoria in vari font del fatto che le date di Milano sono sold out, qualche «Milano su le mani», un dito medio con vaffanculo corale agli invidiosi e chiacchieroni, le luci accese sul momento strappalacrime, il classico casino per Baby Gang, presente come guest su Calcolatrici, e per la ritrovata libertà di Shiva), in cui l’impressione è più quella di un rituale obbligato senza grande spontaneità o coinvolgimento; rivedibile sulla performance, non tanto perché ci si aspetti da lui chissà che cosa da un punto di vista vocale o musicale, quanto perché il suo contributo alla realizzazione di uno show all’altezza del contesto è pressoché nullo, e dispiace che in una carriera così ricca di successi non sia ancora riuscito a trovare soluzioni più stimolanti rispetto al consueto formato del canto sopra alla traccia originale.

L’unica differenza rispetto alle ospitate nelle discoteche delle origini e ai primi concerti nei club è il budget, speso in questo caso egregiamente con scenografie notevoli – con un ampio utilizzo del fuoco e visual coinvolgenti e molto narrativi – e un corpo di ballo che fa una bellissima figura. In una sorta di beffa metaforica è, appunto, il budget che colma il vuoto performativo di Sfera. Ma di nuovo, sono sottigliezze che non influiscono minimamente sulla percezione delle migliaia di presenti: il vero show è la scaletta, il concerto è una festa collettiva e il palazzetto trema in continuazione, non metaforicamente. E forse non ha nemmeno senso aprire una discussione su come suoni oggi Rockstar, sulla sua influenza o meno, sull’evoluzione (nulla) di Sfera come artista: l’unica cosa da fare è prendersi il vaffanculo e accettare che noi siamo i chiacchieroni, loro sono gli invitati alla festa e lui, Sfera, è sempre e comunque la rockstar.

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