Un po' di sesso
La musica pop ha da sempre uno stretto legame con la sessualità e l’erotismo. Il corpo, nei videoclip quanto nelle performance pop, diventa oggetto del desiderio da mostrare, celare, lasciar intravedere, un desiderio impossibile per un pubblico che brama senza confini il proprio irraggiungibile artista. Questa lezione Troye Sivan deve averla presa alla lettera: simulazioni di sesso orale e anale vengono ripetutamente portate sul palco del secondo giorno del Primavera Sound nel quale Troye si conquista con forza un ruolo nello stardom del pop. Arrivato ai suoi 28 anni, la popstar sudafricana cresciuta in Australia, ha ufficialmente fatto il salto e – dopo aver guardato a ripetizione video su video dei tour di Madonna (c’è sempre da guardare alla vera mother in questi casi) – porta in scena un live con una carica erotica rara. Primo pezzo e boom, Troye simula di fare sesso orale a un suo ballerino. Una lapdance e altro sesso orale simulato. Poi si fa prendere da dietro mentre piano piano i suoi cambi d’abito lo svestono. «Amo la libertà, fare sesso, ballare; amo la musica dance», dichiara sul palco. Il pubblico (prevalentemente LGBTQ+) impazzisce per il suo twink del cuore. Sui maxi schermi viene mostrato un telefono di una persona del pubblico che chiede: «Qualcuno ha del popper?». Finalmente qualcuno che abbia capito che la musica pop è come il sesso. Usciamo tutti bagnati.
Un po’ di noia
Uno dei pregi di un festival così grande è il ritmo, il sentirsi parte di una macchina musicale che non si ferma mai e in cui non esiste tempo d’attesa. Forse nel giorno meno interessante dei tre in programma, il Primavera Sound fa un piccolo giro a vuoto in quello spazio di tempo fondamentale tra il passaggio dai concerti ai set più dance (dove è necessario tenere alto proprio quel ritmo per non farsi attaccare della stanchezza delle prime ora della notte). Non aiuta sicuramente la main artist del festival – Lana Del Rey – che ancora persa nelle sue idiosincrasie da pop star strafottente decide di salire sul palco con 20 minuti in ritardo, creando una serie di disguidi sulla line up a seguire. Sul palco Lana sembra inoltre persa, canta poco e nulla, si muove al rallentatore e in maniera visivamente spaesata, lascia spesso il microfono al pubblico. È una bellissima prestazione canora: sì, quella delle sue coriste. Questa Del Rey in mood Amy Winehouse non convince, né nei modi né nella performance ed è un gran peccato visto l’incredibile numero di persone accorse qui per lei. Tanta noia e poco ritmo, così come la scelta del festival di posizionare i National come headliner che – con tutto il rispetto per la band americana – è una mossa che non paga e che sembra fuori scala rispetto al gruppo. Si poteva pensare meglio.
Un po’ di politica
Mentre il mondo (e in particolare Gaza) va a fuoco, un po’ di politica inizia a farsi spazio anche all’interno del festival. Il mood Coachella viene così boicottato a tarda notte quando una line up finalmente sul pezzo piazza di fila i live di Arca e Sega Bodega che riconsegnano futuro, tridimensionalità e – per l’appunto – politica dopo un paio di ore di smarrimento in cui i più giovani si accodano agli stage danzerecci di Boiler Room e Warehouse mentre gli altri vagano un po’ incerti sul da farsi. Chi conosce Arca sa che anche solo la sua presenza è politica. Artista trans che ha fatto del suo corpo e della sua transizione un terreno di gioco sui diritti della persona, Arca porta in scena un live caotico e sopra le righe, dalla scelta dell’outfit agli accessori sul palco (un fucile che spara CO2, un’altalena per il sesso). Mischiando club decostruito, latin core e avant pop, e accompagnata anche da visual clamorosi, si conferma essere il presente e il futuro di una certa musica che vuole mischiare pop e avanguardia. In mezzo il tempo di esprimere il suo dissenso verso il genocidio palestinese, tema riproposto anche dall’altro principe dell’avant pop, Sega Bodega, che a metà show emerge dalle nubi dei fumi di scena con in mano una bandiera palestinese da sventolare. La musica è (anche) cosa politica.
Che altro? Il ritardo di Lana Del Rey ci ha fatto perdere Jessica Pratt (mannaggia a te Lana!), i Clipse hanno spaccato seppur con poco pubblico visto la concomitanza con il live di Lana (mannaggia a te Lana!), Hannah Diamond, la regina dell’HD, ha tirato su un party zuccheroso LGBTQ+, Tirzah è stata così tanto minimalista da farci distrarre, le Last Dinner Party hanno spaccato, così come i BadBadNotGood. Alla fine è caduta un po’ di pioggia nel disinteresse del pubblico occupato a ballare i latinismi della label colombiana TraTraTrax, tra nuvolette di popper (quelli che lo cercavano l’hanno trovato, supponiamo) e un po’ di sano perreo. Lasciate da parte politica e noia, alla fine è il sesso a spuntarla.