Il candore di Jovanotti: la recensione del Palajova al Forum di Assago, Milano | Rolling Stone Italia
Lorenzo, o l’ottimismo

Questo è il candore di Jovanotti, andate (al Forum) e prendetene tutti

«È una festa per affrontare lo stato d’emergenza permanente in cui viviamo», ha detto ieri sera prima di salire sul palco a Milano. È anche uno spettacolo fanciullesco e metamoderno, una puntata dei Muppet e la sintesi pop di un mondo non sintetizzabile

Questo è il candore di Jovanotti, andate (al Forum) e prendetene tutti

Lorenzo Jovanotti

Foto: Michele Maikid Lugaresi

C’è un momento nel Palajova in cui Lorenzo racconta d’aver chiesto a ChatGPT quali sono le cinque parole che ricorrono più spesso nelle sue canzoni. Prendiamole per buone: sono non sorprendentemente semplici, amore, vita, mondo, libertà, sole. «Hanno ragione quelli che dicono che scrivo come uno di terza elementare». Ovviamente non scrive come un bambino, però il siparietto dice qualcosa circa il candore con cui Jovanotti si è ripresentato dopo l’incidente portando sul palco uno show che è assieme fanciullesco e metamoderno, una puntata dei Muppet e la sintesi pop di un mondo non sintetizzabile.

Dopo le quattro date di Pesaro, Lorenzo Jovanotti ha tenuto ieri il primo dei 12 concerti previsti al Forum di Assago. Prima di salire sul palco ha parlato coi giornalisti. Ha detto d’aver capito solo dopo averlo allestito che cos’è questo concerto, che nasce dall’esigenza di fare uno show allegro e carico, «una festa per affrontare i tempi complicati e lo stato d’emergenza permanente in cui viviamo». La strada scelta è, nella tradizione del personaggio, quella dell’energia pressoché fanciullesca, della spudoratezza nel non dire alcunché d’eccezionale parlando solo di cose eccezionali, chiamando a raccolta sopra al palco pezzi di mondo e sotto un pubblico «che ha avuto un ricambio pazzesco dopo il Jova Beach».

A un certo punto legge il cartello di una madre e di una figlia che sono venute assieme. Chiede se l’ha obbligata mamma a venire e se lo spettacolo le piace. Pare di sì. Così com’è facile criticare i limiti di Jovanotti e i suoi slanci che molti trovano vanagloriosi ed eccessivi, è anche naturale farsi travolgere da questo concerto in cui il cantante supera caparbiamente la linea del pudore, quella oltre cui molti altri artisti non vogliono avventurarsi per precauzione. Perché è lì, dove s’affrontano parole da terza elementare e buone letture, che le cose cominciano a farsi interessanti. E comunque anche per un cinico ascoltare e vedere 10 mila e passa persone che cantano L’estate addosso con quella gioia fa un certo effetto. E allora eccolo, spudorato e incurante del ridicolo, che si mette in testa un cappellino da marinaio, calza enormi scarpe da ballerina e inscena una sfrenata e inadulterata gioia di vivere, quella che si prova da piccoli, prima che la vita mostri la sua faccia peggiore. Così si spiegano i tanti riferimenti contenuti nello show ai cartoni animati e quel modo che ha Lorenzo, e che è appunto fanciullesco nel senso positivo del termine, di trovare ogni cosa del mondo semplicemente straordinaria.

Dopo l’esagerazione del Jova Beach Party, il Palajova sembra un concerto piccolo e tradizionale, però con una band grande e fenomenale, 13 fra musicisti e coristi che accompagnano il cantante, bravissimi, e un repertorio che conta pezzi come L’ombelico del mondo e Penso positivo. «È tutto suonato», dice lui senza farne una battaglia di retroguardia. Il palco è privo di effetti-wow, a parte la decina di fiori da 1300 chili che s’aprono e chiudono e s’illuminano sopra le teste del pubblico in platea. Quella dei fiori è un’idea nata prima dell’incidente. «Ero reduce da un viaggio in Amazzonia e ho avuto una specie di epifania vegetale», dice Lorenzo. «E poi avevo letto il Diario di Etty Hillesum, la ragazza ebrea di 27 anni che decide partecipare al destino del suo popolo andando ad Auschwitz». “Fiorire e dar frutti in qualunque terreno si sia piantati – non potrebbe essere questa l’idea?”, scriveva Hillesum, una frase che dopo l’incidente ha assunto un significato di rinascita personale per il cantante. “Che cosa sono i fiori? Non senti in loro come una vittoria? La forza di chi torna da un altro mondo e canta la visione”, scrive la poetessa Mariangela Gualtieri, le cui parole appaiono sul grande schermo durante il concerto.

Qui le visioni non mancano. Il Palajova, che inizia con un Dumas attribuito ironicamente a Jovanotti, è anche un collage di citazioni, riferimenti, suggestioni. Nella musica, dove si sentono echi di tutto, dai Nirvana a Theodōrakīs. Nelle pose, con la sassofonista Sophia Tomelleri (nipote di Paolo, cuoricini) che s’appoggia a Jovanotti durante un assolo mentre lui imbraccia una Telecaster, una scena che non può non essere stata studiata per evocare le suonate fraterne di Clarence Clemons e Bruce Springsteen. O quando il cantante suona la chitarra su uno sgabello con in testa un cappello con delle piume, replica di una celebre fotografia di Jimi Hendrix.

È uno spettacolo pieno di suggestioni soprattutto nelle immagini che passano alle spalle dei musicisti, che vengono trasfigurati in tempo reale dall’intelligenza artificiale. E così Jovanotti diventa un guerriero nigeriano e poi una donna, una statua greco-romana, Elvis Presley, Bob Marley, Taylor Swift, un androide, i musicisti diventano grattacieli, la mano del chitarrista Adriano Viterbini un fiore, in una mescolanza stordente di immaginari, dalle divinità ai cartoon, dalla religione ai manga, dalle anime alle anime. È un gioco di identità multiple che serve non solo a stupire, ma anche a rappresentare il mondo che sta attorno alle canzoni. Jovanotti non vuole essere Springsteen o Hendrix o Fela Kuti, li chiama a raccolta sul palco per dirci che dentro le sue canzonette ci sono tutte queste cose e tante altre. Non credo che qualcuno lo accuserà di appropriazione culturale, né spero tireranno in ballo la politica dopo aver visto durante Fuorionda le immagini di Meloni coi meloni e di Elly Schlein con gli Articolo 31. Lorenzo l’ottimista dice che «il mio pubblico capisce il senso del tono» che è disagraziatamente sparito dalla comunicazione e dalle conversazioni pubbliche, «oggi ci tocca mettere gli emoji per farci capire».

Tutto questo arriva dopo un incidente che, butta lì Jovanotti senza elaborare, «è avvenuto in una fase della mia vita in cui, per motivi misteriosi, mi sono messo in pericolo». Non è uno che sguazza nel vittimismo e nel concerto non c’è grande spazio per quella brutta caduta, che sembra anzi un sottotesto o volendo un simbolo delle grandi fratture e dei drammoni di questi anni. Non viviamo nel migliore dei mondi possibili, ma da qualche parte bisogna pur rialzarsi e ripartire e non può essere dal cinismo. L’orto di Lorenzo è il tappeto che s’è portato a casa e su cui va avanti e indietro per tutto lo show.

È un bel paradosso che un concerto che segue la pubblicazione d’un disco intitolato Il corpo umano sia pieno d’energia, che è il superpotere di Jovanotti, ma anche quello in cui il corpo del cantante è meno centrale, un po’ per l’ampiezza e il ruolo della band, un po’ per l’abbondanza delle ballate in scaletta (troppe almeno per i miei gusti), un po’ per la digitalizzazione delle fattezze di Lorenzo che avviene sugli schermi. E forse anche perché, per la prima volta, Jovanotti dimostra pressapoco l’età che ha e non una quindicina d’anni in meno. Sta ricostruendo la memoria motoria dei gesti di scena ed è una cosa che deve avvenire lì sul palco. «Ogni giorno va meglio. Prima del debutto ero impaurito perché una cosa è fare le prove e un’altra è buttarsi sul palco di fronte a 10 mila persone. Ma come mi ha scritto Gianna Nannini dopo la prima data, è sul palco che si guarisce». 

Il concerto “sensazionale fenomenale eccezionale e musicale” inizia con la sigla di Conan, il ragazzo del futuro e finisce con un pezzo che è assieme esilarante e ridicolo come Il corpo umano e poi coi musicisti trasformati in una banda di Muppet per Ragazzo fortunato. Il tema classico della musica di Jovanotti, il ballo come comunione e liberazione, diventa nel Palajova sublimazione della violenza anche verbale in cui viviamo, in una danza in cui l’intelligenza artificiale trasforma anche il pubblico in una platea di pupazzi. Il candore di questo 58enne non sconfina mai nell’infantilismo e nell’evasione dal mondo, ma riesce ad evocare uno stato di pura gioia e quindi di beatitudine. Questo è il Palajova, un inno alla meraviglia d’esser vivi, una manifestazione di protesta di due ore e mezza contro la normalizzazione dell’esistenza.

Set list:

Montecristo
L’ombelico del mondo
Tensione evolutiva
Mezzogiorno
Il più grande spettacolo dopo il Big Bang
101
Mi fido di te
Un bene dell’anima
Medley funk: Questa è la mia casa / Mani in alto / La tribù che balla / Oh, vita! / Muoviti muoviti / Tanto3 / Falla girare / Megamix
Ragazza magica
Raggio di sole
Un mondo a parte
Medley lento: Come musica / Io ti cercherò / Punto / Serenata rap
A te
L’estate addosso
I Love You Baby
Gli immortali
Le tasche piene di sassi
Ricordati di vivere
Fuorionda
Sabato
Yalla Yalla / Ti porto via con me
Penso positivo
Il corpo umano
Ragazzo fortunato

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