L’addio alla musica di Bugo non è stato un funerale: la recensione del concerto all’Alcatraz | Rolling Stone Italia
Se l’è goduta

Si capisce da questa foto che l’addio alla musica di Bugo non è stato un funerale?

Caos, rock e abbracci all’ultimo concerto all’Alcatraz. C’era anche J-Ax: «In questo mondo di Morgan il mio consiglio è quello di essere Bugo». Niente grandi discorsi: «Mollo per non mollare»

Si capisce da questa foto che l’addio alla musica di Bugo non è stato un funerale?

Bugo all’Alcatraz

Foto: Michele Piazza

Fuori scena, una fisarmonica. Dentro, un Piede sulla merda. Ecco come inizia l’ultimo concerto della carriera di Bugo all’Alcatraz di Milano. Non un addio in punta di piedi, ma un’esplosione controllata (e a tratti no). Lui spunta inizialmente da solo e attacca con quell’anti-hit che l’ha reso fantautore. La prima parte è grunge. Non un revival fighetto, ma quello sgangherato, incazzato e borderline. Questione d’eternità è una sassata distorta. Bugo combatte coi pedali della chitarra, manda nel panico i fonici ma si prende la colpa del disguido con ironia: «Quando succedono queste cose, succedono sempre per colpa mia». E chi lo conosce sa: è proprio quel caos a renderlo unico. Così scorrono, in un grande impatto sonoro, pezzi come Il sintetizzatore, Benzina, Rock’n’roll (con Aimone Romizi dei FASK alla batteria), fino a Gel (con Fernando Nuti dei New Candys).

Poi vira nella seconda parte acustica chitarra e voce. Bugo in mezzo al pubblico, quasi fisicamente. Si siede su una poltroncina, cerca l’abbraccio, lo pretende. Attacca Comunque io voglio te, ma si interrompe per cazziare i fotografi: «Devo parlare con la gente, se mi state davanti non riesco». E riparte, rivolgendosi dritto negli occhi di chi lo ascolta. Che diritti ho su di te, Spermatozoi, Vorrei avere un dio, Cosa fai stasera: brani che mixano Lucio Battisti e Rino Gaetano, momenti poetici e urla sgolate. Dal pubblico gli gridano: «Non mollare!». E lui, con un sorriso e un calembour, replica: «Ma io mollo proprio per non mollare». Il manifesto di una carriera al contrario.

Foto: Michele Piazza

La terza parte del live è un frullatore lo-fi: rock, punk, cantautorato, pop sgraziato eppure spesso con momenti notevoli. Il pubblico lo incita: «Sei bellissimo». E lui si scioglie: «A questo non posso resistere». Poi sbotta contro gli artisti che spiegano le loro canzoni: «Ma canta invece di parlare! Se volevo sentire uno parlare non andavo a un concerto». E infatti lui canta, ma con parecchia interazione insieme al pubblico che lo cerca, lo sollecita, lo sostiene. Uno dalla prima fila gli mostra una videochiamata di chi non è potuto esserci: «Perché non sei venuto al concerto?», chiede. E parte il coro: «Scemo, scemo, scemo». Lui ride. Sta bene. O finge di star bene? Ma chi se ne frega, in fondo è rock’n’roll, no? Non a caso c’è E invece sì è presente in scaletta (dal secondo Sanremo), ma non c’è Sincero. Quella ferita sanremese del 2020 è come un fantasma che aleggia e non trova posto finché sale sul palco J-Ax per una Pasta al burro mutata in pezzo nu metal. E lì il fantasma viene rievocato in un dissing del rapper: «In questo mondo di Morgan il mio consiglio è quello di essere Bugo».

Il finale è un’esplosione emotiva. Per fortuna che ci sono io interpretata come una seduta di autoanalisi. Poi Casalingo, Me la godo, una rabbiosa Non lo so, brani che l’hanno trasformato da pioniere dell’indie a cantautore maturo. Infine Io mi rompo i coglioni, con Bugo alla batteria, tutti gli ospiti in scena e decine di fan arrampicati sul palco a condividere l’ultima sbornia collettiva. Nessun discorso, nessun bis. Solo un concerto potente, vario, viscerale. E una carriera che forse si chiude, o forse si mette in pausa. Ma se davvero finisse qui, sarebbe un peccato. Perché il Bugo di ieri non era un reduce. Era un artista vivo. Più vivo di tanti altri.

Foto: Michele Piazza

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