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Sting è venuto a dirci che non molla

In concerto ieri sera al Forum di Assago, l’ex cantante dei Police ha dimostrato di poter dare lezioni di musica a gran parte degli artisti pop in circolazione

Al banco del merchandise dei concerti Sting non dovrebbero vendere felpe, magliette e tour book. Dovrebbero mettere un libro magico su cui apporre la firma per vendere l’anima e arrivare a 68 anni in forma come lui. L’ex cantante dei Police s’è rotto un tendine della spalla sinistra, s’è fatto operare, sul palco indossa un tutore. È strano vederlo camminare su e giù per il palco senza basso, né chitarra a tracolla. Ma ha comunque una gran presenza e tanta energia, canta ancora bene, fa spettacolo con le canzoni. Niente scenografia, solo musica.

A giudicare dai 100 minuti di concerto di ieri sera al Forum di Assago, Sting è tornato in Italia per dirci alcune cose. Primo: arriva nella storia di un artista, persino di uno che pur di non confrontarsi col passato ha inciso dischi per liuto e concept sulla stagione invernale e musical sui cantieri navali dell’Inghilterra settentrionale, arriva per tutti insomma il momento di dare al pubblico quel che il pubblico vuole. Sting lo fa un concerto composto per il 90% da grandi successi, suoi e dei Police. È una specie di greatest hits. Secondo: il reggae sta alla base della sua musica. Lo ricorda non solo alterando in chiave quasi dub Wrapped Around Your Finger, ma anche inserendo accenni di Get Up Stand Up di Bob Marley in Walking on the Moon e di No Woman No Cry in So Lonely.

Non che il concerto sia sempre eccitante. Iniziato con quasi un’ora di ritardo sull’inizio previsto inizialmente per le ore 20, con code interminabili connesse alle procedure di controllo dei biglietti nominali introdotti dall’emendamento Battelli, la performance ha una parte centrale un po’ debole, con If You Can’t Find Love dall’insipido dischetto con Shaggy e il duetto con la corista Melissa Musique Whenever I Say Your Name che suona come il momento romantico di musical anni ’80 (non è un complimento).

C’è un’altra cosa che gli artisti dell’età di Sting sanno fare: scegliere i musicisti. Ieri sera hanno suonato con lui i chitarristi Dominic e Rufus Miller, padre e figlio, il tastierista Kevon Webster, il bassista Nicolas Fiszman, il batterista Josh Freese, i coristi Gene Noble e Melissa Musique e l’armonicista Shane Sage, cui è dato grande spazio, e a ragione. Rispetto a My Songs, l’album più recente di Sting che contiene riproposizione opache dei suoi successi in chiave contemporanea, gli arrangiamenti sono decisamente più centrati ed esuberanti, specie nella prima parte. Ascolteremo qualcosa del genere nell’imminente My Songs Live (8 novembre), appendice su disco del tour.

Non c’è l’atmosfera dell’evento. Il pubblico è seduto – letteralmente, anche in platea – e a volte sembra d’assistere a una rimpatriata di cinquantenni che vogliono rivivere un pezzo della loro gioventù per un’ora e mezza. E quando arriva Russians si è combattuti fra il considerare la canzone che cita Reagan e Chruščëv un pezzo di storia o una lettura attuale della realtà. Di certo Sting può dare ancora lezioni di musica a gran parte degli artisti pop in circolazione. E questa è la terza cosa che è venuto a dirci: quelli della sua generazione non mollano.

Scaletta:

Roxanne
Message in a Bottle
If I Ever Lose My Faith in You
Englishman in New York
If You Love Somebody Set Them Free
Every Little Thing She Does Is Magic
Brand New Day
Seven Days
Whenever I Say Your Name
Fields of Gold
If You Can’t Find Love
Shape of My Heart
Wrapped Around Your Finger
Walking on the Moon
So Lonely
Desert Rose
Every Breath You Take
King of Pain / Roxanne coda
Russians
Fragile

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