«Stromae è un cazzo di genio» digito a metà concerto sul mio smartphone mentre una decina di schermi led fluttuano sopra la testa dell’artista belga durante un’emozionante esecuzione di Quand c’est, tratto dal fortunato album Racine Carrée.
È da dieci anni che scrivo di musica, una ventina da quando frequento attivamente il mondo dei concerti, ma credo di aver visto poche volte uno show entusiasmante ed emozionante come quello tenuto da Stromae ieri sera all’Ippodromo Snai di San Siro di Milano, all’interno di Milano Summer Festival.
Poco dopo le 21.30, Stromae guadagna il centro del palco tra il boato dei quasi 20 mila presenti mentre la sua band si divide geometricamente in quattro postazioni di kraftwerkiana memoria. Alle spalle dei musicisti, dieci futuristiche braccia robotiche muovono altrettanti schermi led, utilizzando la tridimensionalità degli spazi per creare imponenti architetture visuali da cui trasmettere animazioni pixariane e ambientazioni futuristiche. In un continuo contrasto audio-visivo tra il futuro, rappresentato dalle scelte scenografiche, e un recupero virtuoso di certe tradizioni musicali, per tutta la durata del live l’occhio viene catturato magneticamente dalla presenza scenica di Stromae che qui ribadisce, come se ci fosse bisogno di ricordarlo, di essere uno dei performer più intriganti e completi dell’ambiente pop.
Il ragazzo balla, canta, si esibisce con una naturale semplicità, sembra quasi stia cantando a casa sua, come se i 20 mila esseri umani estasiati davanti a lui altro non fossero che le piante, i quadri e il mobilio del suo soggiorno o della sua camera da letto. Ogni suo gesto, mai fuori luogo, mai esagerato, mai eccessivo, ha in sé quella coolness innata che possiedono solo i grandi, quel controllo artistico del corpo per cui ogni movimento ha una motivazione, una luce, una verità.
Tra ambientazioni post-umane e buffi avatar animati dell’artista, tutto lo show è pensato nei minimi particolari e nulla è mai lasciato a caso, neanche il più piccolo dei dettagli. Anche gli addetti che ogni tanto invadano il palco per modificare l’assetto delle postazioni della band (intenta a suonare, magnificamente, ogni sorta di strumento) o per aggiungere o togliere oggetti di scena, ad esempio, non hanno la tipica divisa anonima total black da tecnici, ma vestono in elegante camicia bianca con volant proprio come Stromae e i suoi musicisti. Non solo un gesto estetico e coreografico, ma un sottolineare come tutti all’interno dello spettacolo siano fondamentali al successo della performance, tecnici compresi.
A livello di coinvolgimento, lo show colpisce per la schiettezza con la quale dichiara, fin da subito, il suo principale obiettivo: far ballare, tantissimo, fortissimo, senza sosta, attraverso ritmiche recuperate dai più disparati luoghi del mondo. Filtrate dalla sensibilità di Stromae-produttore (perché ricordiamoci, Stromae non è solo un ottimo cantante e uno strabiliante performer, ma anche il geniale producer dei suoi stessi brani), tutte queste influenze funzionano assieme senza difficoltà, come se avessero in sé un’intrinseca coerenza, come provenissero dalla stessa regione e dallo stesso momento storico. Ci si ritrova quindi a muovere le anche, le gambe, le braccia sulla cassa dritta e sui ritmi latini, ma anche nei momenti calypso e in certi riferimenti ancora più popolari, come se la storia e la geografia della musica nera si fossero contratte in uno spazio-tempo controllato e gestito dal talento dell’artista belga.
Il pubblico è estasiato e balla eccitato seguendo i passi di Stromae (e del suo avatar proiettato) in un’esperienza collettiva di liberazione, tra ambizioni tecno-utopiche e singalong condivisi. È tra l’altro qui doverosa una menzione d’onore per il pubblico del concerto, eterogeneo, coinvolto ed educato come raramente accade: «la musica onesta porta sempre belle persone», mi ricorda giustamente la persona che mi accompagna.
Dopo quasi due ore di live, Stromae chiude lo show nel tripudio del brano che lo ha lanciato sul mercato internazionale, Alors on dance. Ma proprio quando pensiamo che sia tutto finito, ecco il colpo di scena. Quando il pubblico invoca il bis, Stromae chiede il silenzio assoluto dei 20 mila; e il silenzio arriva. Così, con la sua band, abbandonati gli strumenti, circondano il microfono per una versione acapella di Mon Amour, brano tratto dal suo ultimo disco, Multitude. Nonostante la folla incandescente e le architetture spropositate del palco, l’artista compie la sua magia e, come fosse la cosa più semplice di tutte, riesce a creare un raro e umano momento di intimità, invitandoci tra le piante, i quadri e il mobilio di quel soggiorno e quella camera da letto in cui immaginavamo stesse esibendosi.
Stromae è un cazzo di genio, e se ne ero convinto a metà, ne sono definitivamente certo a fine concerto e ancora più sicuro la mattina successiva. Ma, naturalmente, per uno spettacolo del genere, il genio dell’artista è solo la punta di un iceberg produttivo composto da una moltitudine (come il nome del suo disco) di persone talentose che assieme riescono a raggiunge un tale livello di messa in scena a dir poco indiscutibile. Ed è molto bello, quasi commovente, sapere quanto Stromae ne è cosciente, quando si prende tutto il tempo del mondo per ringraziare a memoria (e non perdendosi in quelle scene patetiche in cui l’artista legge, senza cognizione di causa, una lista della spesa di nomi su un foglietto) chiunque ne faccia parte per poi lasciare il palco con un ultimo gesto che, personalmente, mi ha sciolto per delicatezza: le braccia robotiche ricompongono uno schermo centrale su cui scorrono, come in un film, i titolo di coda con i nomi di chi ha reso possibile questo show. Ed è inutile dirvi che la mole di persone coinvolte è ben oltre ogni nostra possibile idea.
La classe passa anche da qui, attraverso il rispetto, il rispetto per quest’arte, per il pubblico presente, per gli addetti ai lavori che, dietro le quinte, posso rendere possibile uno show di questo tipo. Anche nello show più grande, a far la differenza, sono sempre i piccoli gesti di umanità. Anche per questo Stromae è un cazzo di genio.