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Suonano da dio, scherzano da preti: chi sono?

Non c’è thrash senza sberleffo, non c’è sfuriata elettrica senza canzone sentimentale. I Mr. Bungle al Magnolia di Milano: il racconto di un concerto assurdo che finisce con un grande grosso «vaffanculo»

Foto: Rick Kern/Getty Images

Dopo neanche un’ora di concerto, Mike Patton annuncia l’ultimo pezzo. Qualcuno sotto il palco si lamenta. «Siamo vecchiacchi, che vuoi?!», ringhia il cantante in italiano, lingua che parla in modo spassosissimo. Pochi secondi dopo, parte il riff di Sudden Death. A un concerto dei Mr. Bungle non c’è thrash senza sberleffo, non c’è sfuriata elettrica senza canzone sentimentale, non c’è riff killer senza battutaccia. Che dio benedica Patton, nonostante le bestemmie che ha tirato. Ogni due o tre canzoni micidiali – non per la composizione, ma per l’esecuzione – arriva il pezzo che spezza, la battuta dissacrante, la ballata che non t’aspetti. È come se Patton avvertisse il desiderio di non prendere questa musica troppo sul serio. I Mr. Bungle sono serissimi e fortissimi quando la suonano, sono uno spasso quando la sdrammatizzano.

Nel caso non li conosciate, i Mr. Bungle sono il progetto del cantante col chitarrista Trey Spruance e il bassista Trevor Dunn. Hanno fatto un demo negli anni ’80 e tre dischi nei ’90. Era il periodo in cui Patton faceva parte dei Faith No More e andava su MTV con la cover di Easy dei Commodores. I Mr. Bungle sembravano uno dei suoi tanti sfoghi fuori dal rock mainstream, un gruppo pazzo che pubblicava canzoni con titoli tipo (traduco liberamente dall’inglese) “Tutti quelli con cui ho fatto il liceo sono morti”, “Nessuno di loro sapeva di essere un robot”, “Ho il culo in fiamme”.

Qualche anno fa sono tornati con una nuova formazione coi tre citati più Scott Ian e Dave Lombardo, grandi nomi del thrash metal, e con una rilettura pesantissima del primo demo. Proprio The Raging Wrath of the Easter Bunny Demo con alcune cover s’è preso il grosso della scaletta del concerto di ieri sera al Magnolia di Milano. Patton e i suoi vanno in giro per l’Europa con un geek show che comprende Spotlights e Oxbow, la chiamano European Vacation, si capisce subito perché. Per alcuni sono fuori dal tempo e questa musica non ha senso nel 2024. Altri si lamentano della formazione, del repertorio, del luogo, del fatto che dall’altra parte della città ci sono i Megadeth. C’è troppa nostalgia, c’è poca nostalgia. La gente si diverte anche senza l’approvazione dei guardiani della coolness.

Introdotti dalla versione sballata di Also Sprach Zarathustra della Portsmouth Sinfonia, un esperimento in cui gli orchestrali si scambiavano gli strumenti cercando di suonarli al meglio delle loro capacità, vanno giù duri con alcuni pezzi da Easter Bunny. Patton indossa una maglietta dell’Inter, salvo poi far notare che è uno scherzo: «Inter vaffanculo, viva Milan». Così come la Portsmouth Sinfonia prevedeva spazio per l’errore, i Mr. Bungle vanno in cerca della stranezza in grado d’alleggerire l’atmosfera ferale del thrash e in qualche modo prendere le distanze dalle sue convenzioni, anche se non c’è più nulla di esplosivo o rivoluzionario in quel che fanno.

Arriva a un certo punto I’m Not in Love dei 10cc, pop strappalacrime di metà anni ’70 che conosci anche se non lo sai (è quella che fa “I’m not in love, so don’t forget it”). Patton se la prende (per scherzo) con uno delle prime file: non deve frignare perché gli uomini non piangono, gli dice. Risate. Dentro Hypocrites / Habla español o muere (“parla italiano” al Magnolia) c’è La cucaracha. Sorrisi. Viene fatta anche Summer Breeze di Seals & Crofts. Altri sorrisi. Dopo gli stacchi brutali e la velocità parossistica di Glutton for Punishment arriva Hopelessly Devoted to You, quella di Grease, che è forse la cover migliore della serata: non è né parodistica, né sfigurata, solo animata da scariche d’elettricità che per qualche istante sembrano portarla da un’altra parte anche se resta lì e il messaggio che passa pare sincero.

C’è del teatro nel modo in cui Patton affronta il palco, continuando a girare attorno alla sua postazione dove regola gli effetti della voce, prende oggetti di scena con cui produce suoni e rumori, animaletti, fischietti. C’è del teatro in pezzi come in My Ass Is on Fire che è un miscuglio di cose schizzate, dalla samba allo spot dei Pepto Bismol, che può ricordare certe follie di Zappa. Ci sono pure battutacce «da papà» come quando il batterista Dave Lombardo chiede «qual è il più grande elettricista italiano? Lampa Dario». In ogni caso, è un piacere vedere Patton su di giri dopo i casini che ha affrontato. «È scattato qualcosa e mi sono isolato completamente, sono diventato quasi asociale, mi spaventavano le persone», ha detto nel 2022 a Rolling. «Quella specie di ansia, o come vogliamo chiamarla, ha portato ad altri problemi di cui però non voglio parlare. Mi sono rivolto a dei professionisti affinché mi aiutassero e ora mi sento meglio, mi sento più vicino alla guarigione. Verso la fine dell’anno farò i miei primi concerti in circa due anni ed è il periodo più lungo che io ho mai passato stando fermo, da quando ho iniziato».

Finisce coi vecchiacci che fanno due pezzi “italiani”. Il primo è di 24.000 baci di Adriano Celentano ed è così così, ma è un bis, c’è del cazzeggio, ci sta. Il secondo è All My Myself di Eric Carmen, il tormentone zuccheroso anni ’70 ripreso nei ’90 da Céline Dion. Patton dice che «la mia mamma me lo cantava quando ero appena nato», bugiardo che non è altro, lui è del 1968, la canzone del 1975. Di solito ne ribalta il significato sostituendo il ritornello che fa “all by myself” con “go fuck yourself”, non più il lamento patetico, ma la rabbia di un uomo che è stato lasciato. Ma siamo in Italia, abbiamo una parola migliore per dirlo e quindi Patton invita il pubblico a cantare «con mani in alto» tutti assieme le note del ritornello mettendoci sopra la parola «vaffanculo». Chiude con un «Milano, vattene affanculo» e dice che ci si vede in giro, magari «per un panino o qualcosa».

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