«Se volesse ballare anche lei, sarebbe come far ballare tutta Milano». Se il cortese invito arriva da Francesco De Gregori, puoi anche essere il sindaco d’una grande città, ma ti alzi e balli. E così Giuseppe Sala s’unisce alle coppie scese a ridosso del palco per danzare l’un-due-tre di Buonanotte fiorellino. «Senti che ritmo», dice il cantautore. Qualcuno in platea ride, ma lui è serissimo, «il valzer è la nostra musica». Il concerto finisce così, con una coda felliniana, con un valzer del commiato. È una scena piccola e tenera, perfetta per un’esibizione informale, un concertino fra amici emendato dai riti dei grandi eventi, organizzato per tener lontana la routine che t’ammazza anche se hai il potere di far ballare il sindaco.
Di evergreen, come un tempo chiamavano le canzoni intramontabili, De Gregori ne ha da vendere e le ha vendute, da La storia a Sempre e per sempre. Ieri sera al Teatro Out Off di Milano ha cantato soprattutto le nevergreen, come le ha battezzate, le “perfette sconosciute” che non sono entrate nell’immaginario collettivo e sono rimaste incastrate in uno dei tanti dischi che ha fatto, meno celebrate di Viva l’Italia o La donna cannone, ma non meno apprezzabili o degne di considerazione. E l’ha fatto in un teatro da 200 persone e dalla lunga storia underground, da alcuni anni sistemato in un ex cinema, appena otto file di sedie, un gran caldo, la possibilità di vedere, sentire, percepire tutto.
«Spero abbiate letto la locandina», dice De Gregori subito dopo essere entrato in scena a proposito dello spirito dei 20 concerti sold out che terrà nel teatro fino al 23 novembre, con un giorno di pausa ogni tre. Lo spirito è questo: pochi successi e molti pezzi considerati ingiustamente minori. «Siete stati avvertiti, i soldi non li riavrete indietro». Nessuno li avrebbe chiesti. Le perfette sconosciute bastano e avanzano. Divertono e sono talmente belle, scusate l’espressione naïf, che fanno venire un lieve magone, di quelli che salgono quando improvvisamente ti trovi di fronte alla varietà della vita e al talento per raccontarla in modi che prima sembravano impensabili. Mannaggia a queste canzoni, che hanno dentro Storia e storie.
Ma non c’è spazio per la retorica. De Gregori cammina per tutta la larghezza del palco, ogni tanto s’appoggia al pianoforte o siede su uno sgabello, spesso canta con una mano in tasca manco fosse un crooner passato di qui per caso a cui però bastano un paio di versi per farti a pezzi – succede quando sai scrivere e vieni da un’epoca in cui le canzoni non erano contents. E poi ci si diverte. «Oggi se non puoi scrivere sold out sotto il tuo manifesto sei un fallito. Io ho risolto il problema prendendo un teatro da 200 posti». In verità De Gregori potrebbe riempire un palazzetto, ma è un bel modo per introdurre il concerto, la sua atmosfera rilassata, la gioia di suonare per il gusto di farlo, l’ironia, la mancanza d’ogni pretesa.
È una piccola follia anti-economica che privilegia la possibilità d’allacciare un contatto stretto col pubblico, come a inizio carriera quando pochi andavano a vederlo, e questo anche a costo di fare 20 date per riunire le persone che riempirebbero un terzo del Forum. Cinque anni fa ha fatto qualcosa di simile in un piccolo teatro della Garbatella, una residency come la chiamano gli anglofoni di 20 date chiamata Off the Record. Quella volta s’esibiva senza batteria, ora c’è Simone Talone che picchia il giusto, spesso usando spazzole e percussioni, e poi il capobanda Guido Guglielminetti (basso), Carlo Gaudiello (piano, tastiere), Primiano Di Biase (organo Hammond, fisarmonica, tastiere), Paolo Giovenchi (chitarre), Alessandro Valle (pedal steel, lap steel, mandolino), Francesca La Colla (cori).
Il suono è limpido, vario, la giusta via di mezzo fra l’influenza degli americani e il nostro patrimonio popolare, è un po’ più rock-blues per Numeri da scaricare, meravigliosamente scarno per San Lorenzo, solo voce e pianoforte. Nei prossimi giorni colleghi e amici saliranno sul palco a sorpresa, non annunciati, la scaletta cambierà di continuo. Quella della seconda serata, promette il cantautore, sarà completamente diversa da quella della prima. Può scegliere tra una cinquantina di canzoni provate con la band e altre che potrebbe mettere in piedi in questi giorni.
È musica senza protocolli e salamelecchi, come s’addice a un 73enne che ha sempre fatto quel che gli andava e da qualche anno lo fa con un sorrisetto complice disegnato sul viso e una nuova voglia di comunicare. «Stasera sto parlando veramente troppo, ma ormai è andata», dice a un certo punto a proposito dei «pistolotti» con cui introduce i pezzi, Pio XII per San Lorenzo, Max Klinger per Un guanto, Auschwitz per Numeri da scaricare. Nella scelta del repertorio credo sia implicita l’idea di uscire dalla retorica dei grandi capolavori. La musica non è fatta solo dei pezzi che tutti conoscono e cantano, ma anche delle parole che ti trafiggono di Caldo e scuro, «che è meglio non ascoltare se uno è sull’orlo di una minima depressione», della memoria popolare di La ragazza e la miniera che stava nel Q-disc della Donna cannone, della storia «disarticolata» di Gambadilegno a Parigi, il reduce di guerra che sogna Atene e sta dritto nella tempesta. Ogni tanto De Gregori canta declamando le parole in modo teatrale, il più delle volte esegue queste canzoni nella loro semplicità, direi nella loro verità.
Quand’arriva Generale si capisce che si è passati dalle nevergreen alle evergreen. Per Alice sale sul palco Pacifico, è la prima sorpresa della serata. La seconda è Gianna Nannini, che si unisce ai due per cantare un inedito adattamento in italiano di It’s All Over Now, Baby Blue di Bob Dylan che De Gregori e Pacifico stanno ancora perfezionando e che, chissà, potrebbe finire in un disco della cantante. Curioso vedere De Gregori nei panni del chitarrista elettrico che fa da spalla a Nannini in America, per poi duettare con lei in Diamante. I concerti, pare di capire, saranno fatti anche di questi momenti, magari meno provati degli altri, esperimenti non perfettamente finiti, con qualche sbavatura vocale, che però servono tra le altre cose a ricordarci che la musica è anche questa cosa qua, incontrarsi e buttarsi con entusiasmo.
Si finisce con la presentazione della band, «suonano veramente, non c’è trucco e non c’è inganno, suonare dal vivo significa far viaggiare il suono», dice De Gregori, che incita Talone a far sentire come suona una batteria vera. Quando arriva il finale di Rimmel sono passate quasi due ore dall’inizio, tutti cantano e s’alzano per applaudire. Nei bis si ascoltano Mannaggia alla musica, che è stata scritta per Ron ed è aggiornata in chiave autobiografica (“Suona da quindici anni dove lo pagano per suonare” diventa “suona da cinquant’anni”) e il valzer col sindaco.
Sempre attivo anche se non fa un album d’inediti dal 2012, De Gregori ha messo in piedi un amabilissimo concertino per 200 amici, così ci chiama, «cari amici». Non la celebrazione di una carriera fuori dal comune, solo il bel mestiere di suonare davanti alla gente che può vederlo in faccia, che può sentire bene la musica. Roba minima, per parafrasare Enzo Jannacci. E quindi la cosa che sto per scrivere è certamente contraria allo spirito anti-retorico di Nevergreen, ma in questi tempi sgraziati in cui la parola è svalutata, il talento è considerato una variabile della forza di volontà e la musica che gira intorno è quella che è, con le sue canzoni di ferro e di fuoco e di sangue e d’amore e passione, con le sue fantasie oniriche e i suoi ritratti spietatamente reali, De Gregori sembra davvero Omero che si esibisce al Cantagiro. E noi, come dice la canzone, faremmo anche 100 chilometri per esserci e vedere se esiste.
Set list:
Quattro cani
La ragazza e la miniera
Caldo e scuro
Cercando un altro Egitto
I matti
Caterina
Festival
Gambadilegno a Parigi
L’uccisione di Babbo Natale
Il cuoco di Salò
Numeri da scaricare
San Lorenzo
Generale
Alice (con Pacifico)
Baby Blue (con Gianna Nannini e Pacifico)
America (con Gianna Nannini)
Diamante (con Gianna Nannini)
Banana Republic
Un guanto
Sempre e per sempre
Rimmel
Mannaggia alla musica
Buonanotte fiorellino