Diciamoci la verità: in pochi avrebbero scommesso sul ritorno dei The Good, The Bad & The Queen, la cui corsa pareva terminata col primo disco, uscito oltre dieci anni fa. Serviva una sorta di fattore scatenante per rimettere assieme questo vero e proprio poker d’assi, un qualcosa di epocale, irripetibile, non pronosticabile: un qualcosa come la Brexit.
La formazione inglese, che vede Damon Albarn (Blur e Gorillaz) alla voce, Simon Tong (The Verve) alla chitarra, Paul Simonon (The Clash) al basso e Toni Allen (una vita con Fela Kuti e tra i padri dell’Afro Beat) alla batteria, si prende piazza Napoleone, a Lucca, nella cornice del Summer Fest, per l’unica data italiana del nuovo tour dedicato al concept album Merrie Land, uscito nel novembre dello scorso anno.
Si tratta sicuramente della creatura più ‘mentale’ fra tutte quelle partorite dall’inquieto cerebro di Albarn nel corso della sua carriera: messi da parte i grandi successi dei Blur, spenti i monitor che proiettano i musicisti virtuali dei Gorillaz e con gli abiti per l’Africa (Express) riposti nell’armadio, i Good/Bad/Queen sono il perfetto campo da gioco dove poter mettere in mostra parodie ed incubi dei giorni nostri.
E mentre nella piazza di Lucca i maxischermi proiettano le immagini della prima, storica, camminata sulla Luna ad opera dell’uomo (era il 20 luglio sì, ma del ’69 esattamente 50 anni fa) è impossibile non pensare a quanto queste cozzino col concetto di Brexit, con l’essere umano che si è rivelato capace di costruire razzi in grado di collegare i pianeti, ma non codici comuni in grado di unire i paesi. Se il primo album della band era una sorta di cartolina proveniente da una Londra misteriosa, il secondo lavoro alza il tiro giocando la carta dell’amarcord di un passato mai vissuto, quello di Merrie Land, una terra meravigliosa, tradita, dimenticata, forse addirittura mai esistita.
Tipo l’italica nostalgia per la puntualità ferroviaria, ma al sapore di pudding.
Quando alle 21.30 la band si presenta di fronte al pubblico, la piazza non è gremita come in altre occasioni, ma sono in molti quelli che hanno abbandonato il proprio posto a sedere per lanciarsi sotto palco. Lo stage è minimale: a tratti quasi buio, illuminato solo da due abat-jour rosse ai lati e con alcuni lumini posti sopra ai musicisti che fan tanto luna park andato a male. Sullo sfondo un telo giallo con una città dipinta, forse la capitale di Merrie Land, forse solo un luogo della mente, forse entrambe le cose.
Con la band c’è anche un quartetto d’archi e un percussionista che si aggiunge alla sezione ritmica di Toni Allen: Damon Albarn, l’uomo dalle mille vite e dalle altrettante resurrezioni, inizialmente pare che non abbia ancora voglia di smettere di nascondersi, come già capitato coi Gorillaz, ma al netto della precaria illuminazione del palco, saranno molti gli scambi verbali fra il cantante inglese ed il pubblico di Lucca.
La scaletta, con soli due album all’attivo, è presto fatta, ma è il modo in cui viene eseguita che stupisce: la prima parte del concerto è interamente dedicata al nuovo lavoro, con l’esordio del 2007 relegato nella seconda metà di spettacolo. Sembra quasi di assistere a due band diverse, con la Brexit come vero e proprio spartiacque, in grado di creare un prima ed un dopo nel percorso del gruppo e, di conseguenza, dello show. Spazio allora, inizialmente, alla doppietta Merrie Land/Gun To The Head, ma c’è posto anche per le carezze di Ribbons, per la nostalgia di un passato immaginario di Last Man To Leave, vera e propria colonna sonora di una giostra dell’ipocrisia, a cui segue la tregua al sapore di metadone di The Poison Tree. Albarn si alterna tra voce e piano e, prima di intonare l’acclamatissima Lady Boston, trova anche il tempo per fare gli auguri di compleanno al buon Toni Allen.
Nell’ideale pausa tra la prima e la seconda parte di spettacolo c’è giusto il tempo per montare su una DeLorean mentale (col volante a destra, ok, ma sempre a 88 miglia all’ora) e settare la destinazione temporale al 2007. Tony Blair sta per darsi il cambio col collega laburista Gordon Brown, Theresa May è ancora agli esordi della sua carriera politica e a Manchester è sempre lo United a fare la voce grossa in città. Ma, soprattutto, nessuno pensa alla Brexit, un’idea – all’epoca – folle e praticamente impronunciabile. Le atmosfere dello show ne giovano immediatamente in termini di gioia ed empatia e, per un curioso caso del destino, la seconda parte del concerto si apre proprio con History Song. Il primo album, così come il secondo, verrà riproposto praticamente nella sua interezza: ci sono Herculean e Kingdom of Doom, ma anche Green Fields e l’omonima title track, che hanno anche il compito di mandare tutti a casa, così come su disco segnavano la fine dell’ascolto.
Nel complesso un bel concerto, a cui forse è solo mancato un guizzo di vitalità in più. Ma questa è Merrie Land, prendere o lasciare: una terra tanto immaginaria quanto familiare, tanto esotica quanto vicina alle nostre coordinate, geografiche e temporali. Per il terzo disco, se l’andazzo è questo, toccherà attendere la conclusione della vicenda Brexit o lo sbarco su Marte: oggi, guardando la luna, le tempistiche dei due eventi sembrano molto simili.