Il report del concerto di Travis Scott a Roma | Rolling Stone Italia
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Travis Scott a Roma contro il mondo, i fantasmi, il diavolo

Non basta l'estetica postatomica a tenere in piedi il super-evento per la prima mondiale di 'Utopia'. Il picco è l'arrivo a sorpresa Kanye West, ma il resto della messinscena è debole e confusionario nonostante l'entusiasmo dei fan

Travis Scott a Roma contro il mondo, i fantasmi, il diavolo

Travis Scott e Kanye West al Circo Massimo

Che poi non si capisce perché un album con un singolo che si chiama Circus Maximus si sarebbe dovuto presentare alle Piramidi di Giza, come aveva annunciato tempo fa Travis Scott in evidente ansia da prestazione dopo aver inzeppato nel suo nuovo lavoro feat per un intero vagone della metropolitana e tutta una bulimia visual che lo ho portato contemporaneamente a mettere in piedi una presentazione-evento in trasferta all’ultimo momento a Roma nel catino del Circo Massimo piuttosto pieno appunto, e insieme una specie di film-concerto già uscito nei cinema americani firmato da Gaspar Noé, Harmony Korine, Nicolas Winding Refn (interessante questa entrata nel gotha del cinema da festival, con punte di mestiere, inevitabile kitsch e di qualche ottima idea), da ieri sera visibile pure in spezzatino su Apple Music.

Che poi, a proposito del film-concerto Circus Maximus, davvero non si capisce bene perché sia andato non a Giza e neppure a Roma, ma fino a Pompei a girare i videoclip dei suoi singoli, nel teatro antico con la regia di Gaspar Noé (se ho capito bene), con sei ballerine sei vestite da cheeleader e la stessa scenografia minimal-postatomica del concerto di ieri sera e – ahimè – una discutibile scelta di tempo che lo dirotta dai Pink Floyd, già mattatori assoluti di quelle rovine, e rischia di portarlo dritto dritto sul treno magico del ministro Sangiuliano Roma-Pompei. Tutte cose di cui giustamente il rapper di Houston non sa niente, ma noi si, purtroppo per noi. Del film ci sarebbe molto altro da dire. Piuttosto comico il dialogo con Rick Rubin su due divani nella campagna toscana (credo), di cui nessuno ha avuto il coraggio di rivendicare la regia. Molto belli invece i videoclip girati in Catalogna e in Nigeria, stile vecchio cinema afropunk, neppure qui c’è la firma, piacerebbe che fosse quella di Harmony Korine.

Tutto questo non c’entra col concerto di ieri (di cui potete vedere alcuni video qui). Anzi, un po’ c’entra perché alla fine qualche delusione finale sulla messinscena e la performance, ottima e rumorosa negli “attacchi” con fuoco e fiamme, ma complessivamente vuota e priva di narrazione, c’è stata. Utopia? Dov’è l’utopia? «Non è la solita utopia, è una cosa un po’ conflittuale», spiega Travis Scott proprio a Rick Rubin nel film. Insomma il finale è stato un po’ dj set, se è lecito dire, un po’ esibizione solitaria e gladiatoria, arrivata alla fine un po’ spompata, fiato corto.

E comunque “sono una walking attraction” l’ha potuta cantare ieri sera, finalmente, nell’attacco di Circus Maximus. Un’attrazione vivente, al Circo Massimo. Vestito come un quarterback postatomico, tutto di bianco (e tutto di nero nella seconda parte del concerto), con la corazza per le spalle in mostra, l’aspetto stracciato e gli occhiali mutanti degli innuit sulla testa (grande trovata, la porta in giro da un annetto almeno). “Dio mi ha dato la forza/ sono questi i posti di prima fila che volevi/ saranno i nostri momenti finali”, dice il feat di Swae Lee che lo introduce nell’album, ricordando con quella mezza profezia finale come la dimensione narrativa del personaggio Travis Scott resti profondamente intrecciata con i dieci morti al concerto Astroworld, tre anni fa, un caso disgraziato per il quale non gli sono state riconosciute colpe, ma che lui ha trasformato in un chiaro segno del demoniaco in tutte le vicende e le storie che lo riguardano. Qualsiasi cosa significhi.

Persino i momenti di pogo che ormai sono consueti nei suoi concerti arrivano quindi caricati da quest’aria un po’ così, di pericolo incombente, di terremoto, polvere e buchi nella folla. Travis Scott sta tra i fuochi e i fumi dell’heavy metal di fronte a un muro di woofer e subwoofer che hanno l’aspetto di un antico palazzo in rovina. Bombardato. Lo aiutano i boom subsonici e i colpi di pistola a casaccio, pam pam tipo vecchio sound system, aggiunti al mix dall’unico musicista sul palco, il dj Chase B che sta in alto, unica spalla di questa performance solitaria di un rapper contro il mondo, il buio, i fantasmi, probabilmente il Diavolo. Un vero amico Chase B, di Huston pure lui, ha mollato l’università per l’hip-hop e un sottile filo di prosaica solidarietà generazionale (anche col pubblico credo) si agita sotto la scorza rude della serata. Quei film tipo I guerrieri dell’anno 3000, tutto un immaginario blaxsplotation mafia familia, però di grandissime contraddizioni, pupi che aspettano a casa, università lasciata a metà, eccetera.

Travis Scott canta “Sono naturalmente nero / e innaturale il respiro”, e mima la bestia in gabbia, l’adrenalina del gladiatore, l’affanno del respiro. Tanto più che al Circo Massimo – dimenticato vuoto e metafisico in mezzo alla città per secoli, ex arena di rimorchio, quindi cinema delle estati romane negli anni ’80 e infine catino bollente di (poche) megafeste calcistiche – adesso ci suonano tutti. Persino gli Imagine Dragons, senza offesa, e si ricorda qualche anno fa una polemica sull’affitto troppo basso, perché qui adesso ai turisti bisogna vendere tutto quel che si può. Tralasciando che al Circo Massimo si faceva la corsa delle bighe di Ben-Hur, gli americani lo hanno conosciuto così nei vecchi film peplum. E i gladiatori combattevano da un’altra parte. Ma questo importa meno di quando Kanye West in Black Skinhead – che poi sarebbe la fonte di Circus Maximus – confondeva i trecento spartani del film coi romani e forse coi troiani, per amore di rima (“300 bitches” in ogni caso).

Citiamo Kanye West perché il solo vero evento dell’evento di ieri sera è stato lui (qui i video), la sua apparizione a sorpresa già al quarto pezzo, a volto scoperto, completamente vestito di nero, stranamente circospetto e in disarmo ma proprio per questo enormemente carismatico. Apparizione e sparizione. Non è esatto dire che si è preso la scena, piuttosto il contrario, la scena si è svuotata di fronte all’immaginario apocalittico di Praise God e Can’t Tell Me Nothing. “Cammineremo fuori dalla tomba per tornare alla vita”, diceva più o meno. «Non esisterebbe Travis Scott senza Kanye West», è stato il sincero ringraziamento del titolare della serata alla comparsa sul palco del suo maestro. Forse nell’enfasi gli esce fuori anche un «non esisterebbe Roma senza Kanye West», che è un po’ troppo, ma come omaggio a Spartaco ci può stare.

Fatto sta che l’altro evento nell’evento è stato il vuoto lasciato da Kanye West, e un’attesa per un altro colpo che non è arrivato. Siccome le voci prima del concerto avevano fatto il guaio di annunciare al Circo Massimo una specie di internazionale hip-hop – chi diceva The Weeknd e chi Future, forse pure Playboi Carti e addirittura Drake – ecco, dopo che Kanye West che ringraziato ringrazia e se ne va, l’arco narrativo della serata non è cresciuto più, anzi semmai è andato in calando. Ecco, senza Drake un pezzo come Meltdown, di gustoso dissing, non ha molto senso. Non si è quasi sentita K-Pop per mancanza di Bad Bunny che ne regge più di metà, così come il finale con Telekinesis, che è un pezzo riassuntivo della situazione, la vita e la morte uniti eccetera eccetera (“siccome vendo coco / ho Chanel sul giacchetto”, e poi “non vedo l’ora di finire nella gloria della vita eterna”), senza Future e nemmeno Sza la cui voce chiude il concerto sul palco vuoto. Curioso: sulle due uniche apparizioni femminili, la voce di Beyoncè in Delresto e quella di Sza in Telekinesis, il gladiatore Travis Scott ha lasciato il palco. Pochissimo femminile tutta la messinscena, ma non è che gli si chiedesse molto altro, un po’ maranza al limite dell’incel, sarà pure l’estate a Roma, ma il mood era quello lì.

E Travis sembrava sempre più solo sul palco, ossessivamente bidimensionale la messiscena, appollaiato su una finta roccia coperta dal fumo tipo vecchie scenografia wagneriana e rilanciato dai megaschermi in bianco accecante, rosso fuoco, blu notte. Il pubblico, gloria a lui, non ha mai perso entusiasmo. Nonostante tutte le trappole dei pit e delle tribunette vip, ma questa è roba che hanno inventato gli antichi romani. Hanno cantato a memoria Highest in the Room e Goosebumps, elargiti con generosità. Alla fine si è celebrato più l’evento che il festeggiato, Travis.

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