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Macché intelligenza artificiale, FN Meka è un rapper fin troppo umano

È stato presentato come la prima IA messa sotto contratto da un'etichetta discografica. È stato scaricato per l’uso della n-word. Dietro ci sono esseri umani e tanta voglia di hype

Foto: Capitol

Nel giro d’una settimana, la Capitol Records ha messo sotto contratto e poi scaricato un rapper “virtuale” chiamato FN Meka. Sull’onda dell’entusiasmo collettivo per il metaverso e l’intelligenza artificiale, il progetto era stato annunciato come un caso di artista digitale animato da una AI, con tanto avatar in 3D dai connotati razziali incerti, tatuaggi sul viso e capelli verdi.

Dopo l’annuncio, hanno cominciato a girare clip in cui FN Meka rappava usando la n-word e presentandosi come una vittima della violenza della polizia, uno finito in galera per essersi rifiutato di fare la spia. Su Instagram, l’associazione Industry Blackout ha chiesto alla Capitol di abbandonare il progetto, le cui colpe sono perpetuare «rozzi stereotipi» sulla cultura afroamericana e appropriarsi di manierismi tipici degli artisti di colore. Nel giro di poche ore, l’etichetta ha annunciato di avere chiuso ogni rapporto con FN Meka, «con effetto immediato».

La polemica era scoppiata da poco quando Kyle the Hooligan, un rapper di colore di Houston, s’è fatto avanti dicendo di essere il creatore del personaggio e delle prime tre canzoni di FN Meka e di non essere mai stato pagato nonostante la promessa di una percentuale. «Mi hanno usato per la mia cultura e poi fatto fuori», ha detto a Vice. Kyle ha poi detto a TMZ che i suoi avvocati hanno dato il via a un’azione legale. Al momento, ad eccezione di una breve clip, la musica e i video di FN Meka sono stati cancellati dalla pagina di TikTok, che conta oltre 10 milioni di follower.

Che sia stato Kyle the Hooligan a scrivere le canzoni contraddice un report dell’anno scorso in cui Factory New, azienda specializzata in artisti virtuali, afferma che il personaggio di FN Meka è stato creato da un’intelligenza artificiale. «Ma quale IA, è la mia voce pitchata», ha detto Kyle. «Nessuna IA è in grado di scrivere spontaneamente una canzone, deve essere alimentata da esseri umani», spiega Colin Allen, docente dell’Università di Pittsburgh specializzato in filosofia dell’intelligenza artificiale.

Anthony Martini, co-fondatore di Factory New, ha ammesso in un comunicato che la descrizione di FN Meka non era precisa. «Quelle dichiarazioni avevano lo scopo di creare interesse attorno alle canzoni. Le parti vocali di FN Meka sono state scritte ed eseguite da esseri umani, in questo caso particolare da artisti di colore».

FN Meka non è che l’ultimo caso di artista “virtuale”. A febbraio 2020, uno studio creativo disse di avere dato in pasto le canzoni di Travis Scott a un’intelligenza artificiale per creare una replica convincente del rapper. Ad aprile, il vero Scott si è esibito su Fortnite. La Roc Nation di Jay-Z ha intrapreso un’azione legale nei confronti di YouTube a causa di un account che usava la voce del rapper per produrre versioni audio deep fake. Nel video di The Heart Part 5, la tecnologia deep fake permetteva a Kendrick Lamar di trasformarsi in Kanye West, Will Smith e altri personaggi noti.

La faccenda di FN Meka tocca una corda sensibile, il crescente disagio per il ritmo di sviluppo dell’IA e per le sue implicazioni. Allen spiega che i problemi etici legati a FN Meka e ad usi simili dell’IA sono condivisi sia dai creatori della tecnologia che dai suoi utenti. «Tutto dipende dalla misura in cui i problemi che emergono sono stati previsti dai progettisti e dagli utenti, che di solito hanno diversi tipi di conoscenza del sistema».

Il caso particolare di FN Meka ha sollevato questioni profonde nell’industria musicale, in particolare per quanto riguarda l’hip hop. Parte del lancio dell’MC digitale era un singolo con Gunna, che si trova in carcere in attesa di giudizio insieme a Young Thug e ad altri artisti dell’etichetta YSL. I loro stessi testi sono stati utilizzati come prova nel caso. Senza volerlo, i creatori di FN Meka hanno reso evidente che nel mondo in cui viviamo, un rapper “virtuale” può beneficiare da un rapper nero in carcere grazie a testi che fanno guadagnare milioni di dollari alle case discografiche. 

«Le nostre più sentite scuse vanno alla comunità nera per l’insensibilità con cui abbiamo messo a punto il progetto, senza porci domande sull’equità dello stesso e sul processo creativo che vi sta dietro», ha detto un rappresentante della Capitol Records a Rolling Stone. «Ringraziamo chi ha fornito feedback costruttivi negli ultimi giorni: il vostro contributo è stato prezioso quando abbiamo deciso di porre fine al legame col progetto».

Martini è ancora convinto che «i personaggi virtuali hanno il potenziale per diffondere un messaggio di uguaglianza e diventare la prossima frontiera nell’equità della rappresentanza nell’arte. Gli avatar virtuali possono e devono consentire a un numero sempre maggiore, non minore di persone di avere una piattaforma». Ci sono opportunità, dice, che gli artisti si lasciano sfuggire per via di pregiudizi o perché «non si sentono a proprio agio con il corpo in cui sono nati». Lui e altri sostenitori dell’intelligenza artificiale nell’industria musicale sembrano avere un punto di vista ottimista ed è ammirevole. Ma se la saga di FN Meka ci insegna qualcosa, è che la realtà virtuale è ingiusta tanto quanto il mondo reale.

Ha collaborato Jeff Ihaza

Tradotto da Rolling Stone US.

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