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Mace è andato ‘Oltre’

Ieri sera ha celebrato a Milano l’epopea di ‘OBE’, domani pubblicherà un album strumentale elettronico, ambizioso e viscerale. Sia lode al più visionario dei nostri produttori

Foto press

Il momento più commovente e intenso del concerto di Mace di ieri sera al Fabrique – forse il più importante del tour di OBE, perché Milano è la sua città – non è stato quello in cui tutto il pubblico di questo sold out ha intonato in coro il ritornello de La canzone nostra. Non è stato neanche quello in cui i numerosissimi ospiti – Venerus, Izi, Gemitaiz, Jack the Smoker, Joan Thiele, Ernia, Rkomi, Noyz Narcos, Samurai Jay e Salmo, tra gli altri, oltre a una band in cui figuravano anche Enrico Gabrielli e Fabio Rondanini dei Calibro 35 – sono saliti sul palco a fine serata, abbracciandosi e festeggiando il trionfo di un album e di una scena intera. Il vero apice della serata è stato un altro: ovvero il momento in cui Mace, nella pausa tra un brano e l’altro, ha raccontato che quando stava lavorando a OBE non ci dormiva la notte, perché temeva che nessuno avrebbe mai capito la sua musica. Dalla platea si è alzato un «eeeeeeeeh» di scetticismo (da leggersi con l’intenzione della celebre esclamazione di Renato Pozzetto «Eh la Madonna!»), ma lui ci ha tenuto a ribadire il concetto: «No, davvero, ero seriamente in ansia. Stavo cercando di fare le cose in modo del tutto diverso da come si erano sempre fatte, e non era così scontato che la gente lo comprendesse. Ora so che le canzoni bisogna sempre farle a modo proprio, perché quando succede, si percepisce». Confermiamo: si percepisce eccome.

Musicalmente parlando Mace è un produttore di altissimo livello, ma ciò che lo rende un artista così interessante è che ha avuto il coraggio di lasciarsi cadere nella tana del Bianconiglio senza curarsi di quanto fosse profonda. Quando lavora per il rap, non si accontenta di riproporre gli stilemi tipici del genere: attinge alla sua cultura di riferimento stravolgendola e ibridandola, in un tale caleidoscopio di suggestioni che alla fine risulta difficile capire dove ha preso l’ispirazione per questo o quel beat. Quando fa pop, riesce a fare suonare orecchiabili e immediatamente comprensibili anche strumenti di nicchia come il sitar o il mellotron. Ma forse è quando fa musica elettronica che dà il suo meglio: abbatte ogni confine tra la realtà e la percezione, come in un viaggio in Ayahuasca (cit). E i suoi ascoltatori rispondono a questo richiamo ancestrale in maniera istintiva e a volte inattesa, come dimostra la serata di ieri: nonostante un pubblico composto in buona parte da giovanissimi fan della nuova scena hip hop, quando il concerto ha scollinato nella seconda metà e ha cominciato a virare verso la dance più ipnotica, l’entusiasmo anziché calare è salito alle stelle. In quel momento era impossibile non sentirsi parte di qualcosa di ben più grande di una manciata di canzoni.

Per tutti questi motivi non dovrebbe stupirci né preoccuparci il fatto che Oltre, il nuovo album di Mace in uscita domani, sia un progetto così sperimentale. È un album interamente strumentale, elettronico, e per rendere l’idea di quanto è ambizioso basta dire che la prima traccia, Breakthrough Suite, dura quasi 20 minuti. Ma lungi dal suonare ostico o inaccessibile, è la colonna sonora dei sentimenti che tutti noi prima o poi abbiamo provato, soprattutto durante la pandemia (molti di questi brani sono stati concepiti allora), quando l’esigenza di evadere fuori dal sé e dalle quattro mura che ci rinchiudevano si faceva sempre più impellente. Non è un disco cervellotico, ma viscerale, nel senso migliore e più autentico del termine. Dalle tracce più ossessive e ritmate, come Moto perpetuo e Impeto, a quelle più contemplative, come Singularity e Volo celeste, i sentimenti e gli stati d’animo di chi le ha create si leggono come un libro aperto, e non si sente affatto la mancanza di un cantante o di un rapper. Soprattutto, non è un disco minore o un side project, ma l’altra faccia della medaglia di OBE, che non a caso si chiude proprio con una canzone elettronica, Hallucination, che si sposa perfettamente con il mondo di Oltre. Meglio ancora: i due album sono una sorta di Uroboro, il mitologico serpente che si morde la coda, simbolo dell’andamento ciclico del tempo, perché Risveglio, l’ultima traccia di Oltre, sarebbe una intro perfetta per OBE.

Chi ascolterà con la giusta curiosità e disposizione di spirito quest’ultima prova di Mace farà fatica a non amarla, e a non capire il suo viaggio. Bisogna solo spalancare la mente, le orecchie, il cuore e tutti i sensi. Perché, come diceva uno degli aforismi proiettati nei visual del concerto di ieri sera, “perché la porta si apra, devi bussare”.

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