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«Mi chiamo Justin, faccio l’insegnante e vivo nella casa dei Grateful Dead»

Vi presentiamo le persone che abitano le case, gli appartamenti, le ville dove Bob Dylan, Patti Smith, Whitney Houston e Jerry Garcia hanno vissuto e creato

Foto: Matthew Baker/Getty Images

Un giorno Donald LaSala ha visto nel monitor della videocamera di sorveglianza un tizio nel cortile. Dopo essersi guardato attorno, l’uomo si è inginocchiato e ha baciato il terreno. Il dottor Matthew Krauthamer ha sorpreso un gruppo di sconosciuti fare un picnic nel suo guardino. Justin Berthiaume è stato più fortunato: ha trovato una non proprio modica quantità di marijuana fissata col nastro adesivo al suo cancello. E poi c’è Bridget Bobel McIntyre che non si sente sufficientemente cool per vivere nel suo appartamento di Brooklyn.

Queste persone hanno una cosa in comune: vivono in case un tempo occupate da musicisti celebri. LaSala è il proprietario di Big Pink a West Saugerties, New York, dove la Band ha vissuto e registrato i Basement Tapes con Bob Dylan. Krauthamer ha comprato la grande proprietà di Whitney Houston a Mendham, New Jersey. Berthiaume ha preso in affitto la cosiddetta Grateful Dead House dove il gruppo ha vissuto dal 1965 al 1968. E Bobel McIntyre e la sua famiglia risiedono nel primo appartamento di Brooklyn di Patti Smith e Robert Mapplethorpe.

Possedere o abitare una casa dove si è fatta la storia della musica comporta opportunità e sfide, a partire dalla necessità di preservarle. Tutti sentono anche il peso della storia, non importa se la casa è esattamente com’era un tempo, vedi Big Pink, o se è cambiata radicalmente col cambiare della città, com’è il caso dell’appartamento un tempo squallido di Smith e Mapplethrope.

Big Pink
«L’ho capito dal primo momento in cui sono entrato nella casa di quel rosa orrendo e sono sceso nello seminterrato: era il posto giusto», ha detto Robbie Robertson. «Me lo prefiguravo. Quel luogo sarebbe diventato il nostro rifugio, il posto in cui avremmo fatto musica. Era l’inizio di The Band».

In un luogo remoto nei boschi di West Saugerties, New York, Big Pink appare in tutto il suo splendore rosa come quando, nel 1967, vi entrò Robbie Robertson. Bob Dylan scriveva i testi in cucina di mattina, mentre i musicisti di The Band – ovvero Rick Danko, Garth Hudson, Richard Manuel, Robertson e Levon Helm – ancora dormivano. È qui che il gruppo ha trovato il suo sound ai tempi del debutto Music from Big Pink, mentre Dylan perfezionava i Basement Tapes e li registrava nel ventre della casa.

Eppure, quando nel 1998 Donald LaSala ha comprato la casa per soli 137.500 dollari (circa 125.000 euro), non c’erano molte persone interessate all’acquisto di questo pezzo di storia del rock. Prima di LaSala, la casa era stata la sede dell’etichetta di musica classica Parnassus Records. Venderla non è stato facile, almeno fino a quando non si è presentato questo musicista/produttore settantenne.

«Non ci credevo, nessuno voleva comprarla», ricorda LaSala. «Era tipo la strada di mattoni gialli del Mago di Oz: stavano tutti dormendo a causa dei papaveri. Era davvero a buon mercato».

Alla fine degli anni ’90, LaSala e sua moglie Sue cercavano un posto in campagna dove il figlio poteva avere spazio per scorrazzare. Big Pink era il posto giusto. La strada che porta alla casa è stretta e sterrata, e la casa si trova a pochi chilometri dal centro di Woodstock (il fatto che LaSala fosse un musicista e fan di Dylan e The Band ovviamente non guastava). Nonostante la lontananza dal centro, Big Pink era ed è parte integrante della comunità di Woodstock.

«È una comunità piuttosto chiusa com’è tipico delle città piccole», spiega LaSala. «La gente ha una certa mentalità e le opinioni di chi ci vive da tanto tempo sono particolarmente forti. Mia moglie viene dai Monti Adirondack e chi vive lì da 20, 30 o 40 anni è considerato uno straniero. Anche Woodstock è così».

E così, quando ha comprato casa, LaSala si è trovato sotto lo sguardo indagatore dei locali. «Erano preoccupati: “Oh, trasformerai la casa nella Disneyland di Dylan”. Hanno iniziato a chiedermi che intenzioni avessi: “Mica ci farai un museo?”. La gente non faceva che rimproverarci, perciò volavamo basso».

LaSala e la sua famiglia sono rimasti a Big Pink fino al 2014, quando vivere in una destinazione turistica i fan di tutto il mondo è diventato seccante. «Siamo famosi perché possediamo una casa famosa, roba da matti», dice. «È stato uno shock. Uscivamo di casa e ci imbattevamo in qualcuno che scattava foto. Si chiacchierava con loro ed era anche piacevole, ma poi nei fine settimana arrivavano tre o quattro auto piene di gente a far casino».

Big Pink. Foto: John Wisniewski/CC BY-ND 2.0

Il caffè della mattina era interrotto da curiosi che spiavano dalle finestre. Alcuni venivano da lontano, persino dalla Norvegia. Uno è arrivato da Liverpool solo per farsi a piedi la strada da Woodstock a Big Pink. Finito il giro è tornato in aeroporto. Un altro tizio ha portato dal Texas la sua ragazza per chiederle di sposarlo nel seminterrato. Due coppie si sono effettivamente sposate sul terreno di Big Pink. LaSala e la sua famiglia hanno sempre accolto con piacere i loro ospiti – lo testimoniano i vari guestbook che hanno accumulato – ma a un certo punto hanno sentito il bisogno di trasferirsi in un luogo meno esposto.

Con l’avvento di Airbnb, LaSala ha capito che cosa potevano fare della loro fin troppo celebre casa. L’idea era comprare un’abitazione dal profilo più basso e affittare Big Pink a fan e artisti in cerca di una Mecca musicale. «Non mi piaceva l’idea di farne un museo. Niente cere di Madame Tussauds nel seminterrato».

LaSala affitta il posto per circa 500 dollari a notte; dice che è prenotato praticamente ogni fine settimana in estate e in autunno. La casa è sostanzialmente uguale a com’era negli anni ’60 e così i visitatori possono vivere e lavorare dove Dylan e The Band hanno vissuto e lavorato. E quando fanno il check-in, LaSala li porta a fare un giro del posto.

«Chiedo loro: perché siete qui? Sì, tipo psicologo o dottore. Dico loro che non è un tempio e nemmeno un museo. È un luogo vivo. La gente ci vive e fa ancora la storia, anche se non ai livelli di un tempo. Non accogliamo gli ospiti dicendo: ecco, qui è dove Dylan scriveva. Gli diciamo: il canale di scolo va tenuto pulito. Oppure: guardate che quell’albero potrebbe cadere e abbattersi sulla casa».

La casa dei sogni di Whitney Houston

Nel 1987, Whitney Houston spese due milioni e 700 mila dollari per progettare una casa a Mendham, New Jersey modellata sul Terminal C dell’aeroporto internazionale di Newark. Ed effettivamente con le sue strutture circolari e in vetro la casa somiglia un hub. È una struttura bianca di 1200 metri quadrati all’intento di cinque acri di bosco.

Houston ha sposato Bobby Brown sul prato della casa nel 1992 e, per un certo periodo, i due hanno vissuto lì. Dopo il divorzio e l’acquisto di altre proprietà, la casa è rimasta vuota.

Dopo qualche anno un giovane medico del pronto soccorso ha acquistato la casa per ‘soli’ 1,5 milioni di dollari, a cui ha dovuto aggiungere una somma ingente per la ristrutturazione. Erano anni che Matthew Krauthamer, oggi 39enne, aveva messo gli occhi sulla proprietà. L’ha comprata nel 2014. Ricorda di aver fatto un tour della casa con altri potenziali acquirenti che dicevano ad alta voce come avrebbero cambiato la casa dei sogni di Whitney Houston.

«Non avevano intenzione di rispettare la memoria della cantante», racconta a Rolling Stone. «La sfida, per me, non era solo acquistare questa proprietà enorme e poi ristrutturarla, ma farlo sapendo che era stata casa di Houston. Non ero un suo fan accanito, per niente. L’ho amata come chiunque altro. Semplicemente, è stato un ottimo affare».

La casa non sembra molto diversa da quando Houston ci viveva negli anni ’80. I lavori di ristrutturazione sono stati discreto. Il pianoforte della cantante si trova ancora nel salotto bianco circolare, ma non c’era più l’imbiancatura viola lucido che copriva le pareti. I vestiti del nuovo proprietario riempiono a malapena un angolo di uno dei tanti armadi su misura di Houston, uno dei quali contiene anche una cassaforte per gioielli grande quasi quanto un uomo. Il suo tavolo da biliardo personalizzato è ancora nella sala giochi e Krauthamer dorme nel suo enorme letto circolare. L’uomo riceve ancora la posta di Progressive indirizzata a Whitney Houston.

Il pezzo forte si trova fuori dalla casa: una piscina decorata con le iniziali di Whitney Houston. «Sono riuscito a trovare queste piccole tessere in vetro a mosaico viola perché volevo piastrellarla», spiega Krauthamer. «Ci sono volute settimane per posarle alla perfezione».

Krauthamer possiede la casa, ma non gli sembra sia davvero sua. «Non riesco a chiamarla casa mia. Dico sempre che è di Whitney. C’è gente che si presenta al cancello», dice a proposito dei i fan che si sono messi a fare il picnic. «Io chiedo: ciao, che succede?», dice facendo un’espressione da persona confusa. «Credo che per loro questo posto abbia un grande significato. Chi sono io per portarglielo via?».

L’ingresso della residenza di Whitney Houston nel New Jersey. Foto: John W. Ferguson/Getty Images

Ogni anno Krauthamer apre la casa a 10 fan per una festa di Halloween. I fortunati sono selezionati in accordo con gli eredi di Houston. «È diventato un grande evento e ogni anno vengono più di 400 persone. Affittiamo l’hotel locale e un servizio navetta. Spesso la serata finisce col karaoke in studio». Lo studio di Houston è esattamente com’era da quando lei viveva in casa. Krauthamer lo considera sacro.

«I fan si commuovono. Mi piace farlo. Mi sento quasi un egoista a possedere la casa di un’artista immensa. I fan di Elvis possono andare a visitare Graceland, ma qui non possono entrare. La festa di Halloween è un modo per permetterglielo».

La Grateful Dead House

Nel 1967 i Grateful Dead tennero una conferenza stampa sulla depenalizzazione dell’erba nella loro sede, al 710 di Ashbury Street, San Francisco. Il 2 ottobre otto agenti della narcotici avevano fatto irruzione nella casa. Due membri della band (Pigpen e Bob Weir), i loro due manager (Rock Scully e Danny Rifkin), il loro responsabile delle attrezzature (Bob Matthews) e sei amici erano stati accusati di possesso di marijuana.

«Gli arresti sono stati effettuati in base a una legge che classifica l’atto di fumare marijuana come reato esattamente come l’omicidio, lo stupro e la rapina a mano armata», disse Rifkin alla conferenza. Rolling Stone ovviamente c’era. «Eppure, tutti quelli, o quasi, che hanno studiato la marijuana seriamente e obiettivamente dicono che è la sostanza meno nociva usata a scopo ricreativo».

Decenni dopo, qualcuno ha attaccato mezzo etto d’erba alla porta della casa vittoriana. Weir e compagni non vivevano da tempo al 710. L’attuale residente Justin Berthiaume si è assunto la responsabilità di accettare il gentile dono.

«La gente mi chiede come sono finito a vivere qui», racconta Berthiaume. «Di solito rispondo che è stato il karma perché quando stavo sulla costa orientale suonavo in un paio di cover band dei Dead. La verità è che ho risposto a un normalissimo annuncio per un affitto su Craigslist».

L’insegnante quarantaseienne vive da più di dieci anni al piano inferiore di quella che è comunemente nota come la Grateful Dead House. È un periodo di tempo quasi cinque volte più lungo di quello trascorso nella casa dalla band. L’uomo, nativo del Massachusetts, ha visto l’annuncio su Craigslist con la sua ragazza di allora. Il prezzo dell’appartamento che comprende una sola camera da letto e il giardino sembrava giusto, per lo meno per un insegnante che vive a San Francisco. Quando ha scoperto che la casa aveva un tempo ospitato Jerry Garcia e compagnia bella, ha fatto letteralmente un salto di gioia.

«È surreale, riesci a percepire la storia in quel posto», dice. «Vai in giardino e immagini Phil Lesh e Jerry Garcia farsi una canna o suonare al piano di sotto. Ne senti la presenza».

La casa è una tappa obbligata dei tour di Haight Ashbury e la si trova facilmente online. Perciò Berthiaume è costretto a ricevere un po’ di visitatori. Una volta un tizio ha suonato il campanello. Cercava Phil Lesh («È stato allora che ho imparato a non rispondere alla porta», scherza Berthiaume). «Il 99% di chi viene è carinissimo, rispettoso e curioso. A volte mi sento una rock star perché tutti mi fissano e hanno paura di parlarmi. Allora faccio il figo e inforco gli occhiali da sole».

L’appartamento di Patti Smith e Robert Mapplethorpe

Nel 1967 Patti Smith e Robert Mapplethorpe andarono a vivere assieme in un appartamento a Clinton Hill, Brooklyn. Era incredibilmente squallida.

«Le pareti erano incrostate di sangue e scarabocchi psicotici, il forno zeppo di siringhe usate e il frigorifero infestato di muffa», ha scritto Smith nel libro di memorie Just Kids del 2010. Una volta ripulito alla bell’e meglio, i due cominciarono a vivere in un felice caos artistico. «La mia area di lavoro era un guazzabuglio di pagine manoscritte, classici ammuffiti, giocattoli rotti e talismani», scrive Smith. «Sopra la scrivania di fortuna sulla quale avevo disposto le penne, il calamaio e i miei taccuini attaccai fotografie di Rimbaud, Bob Dylan, Lotte Lenya, Piaf, Genet e John Lennon – il mio disordine monastico».

Quello che Smith chiama «il mio angolo di mondo» è un’immacolata camera da letto per gli ospiti che gli attuali residenti chiamano Mapplethorpe Suite. Fuori dalla stanza c’è una nuovissima cyclette Peloton. Le ampie finestre proiettano i raggi di sole sul copriletto bianco e sugli scaffali abbondano i libri di storia. Dall’altra parte del corridoio, un bambino di due anni di nome Sullivan sta sonnecchiando.

Patti Smith non aveva tutto questo spazio quando lei e Mapplethorpe sono arrivati quaggiù. Oggi probabilmente non riconoscerebbe nemmeno la casa che è stata ampiamente ristrutturata. Quando la coppia ha occupato per la prima volta il 160 di Hall Street, pagava 80 dollari al mese; ora l’appartamento potrebbe fruttare cento volte tanto. Bridget e Colin Bobel McIntyre, ora quarantenni, si sono trasferiti qui due anni fa soprattutto perché la casa di 325 metri quadrati era abbastanza grande sia per la famiglia che per i loro due grandi cani.

«Se non ricordo male la storia dell’appartamento era menzionata nell’annuncio», racconta Bridget. «Avere un appuntamento non è stato affatto facile. Sono stati molto selettivi. Ero appena diventata mamma e perciò non mi sono resa conto dell’importanza storica della casa finché non ci siamo trasferiti qui». Colin è contabile e consulente, Bridget è una mamma casalinga.

Il 160 di Hall Street ha subito un rinnovamento radicale da quando Smith e Mapplethrope si sdraiavano sul pavimento a scrivere poesie e scattare foto. Dopo il restyling di Jay Tall of Tall Builders, nel 2018 la casa è finita su Architectural Digest. Ora ha un ingresso arioso con travi a vista e pareti di un bianco immacolato, tre enormi camere da letto, tre bagni (che vantano enormi docce a vetro e vasche lussuose), una cucina degna di uno chef, un cortile, una lounge sul tetto e una palestra nel seminterrato. I giocattoli di Sullivan sono dappertutto. Un palloncino dorato a forma di 2 è in un angolo, segno della recente festa di compleanno.

«Siamo persone normali e noiose. Non sono sufficientemente cool per vivere qui», dice Bridget. «Siamo una famiglia con bimbi e cani, e ci piace. Questa adesso è una zona molto borghese, con la tipica caffetteria artigianale all’angolo. È l’esatto opposto di quel che era all’epoca».

Grazie alla casa in cui vive, Bridget si è fatta degli amici. Al parchetto dove porta i cani, ad esempio, ha incontrato una donna entusiasta del fatto che la sua nuova amica vivesse nell’appartamento di Patti Smith. «Sono venuti a bere una cosa quella sera stessa, lei e suo marito. È stato così che abbiamo rotto il ghiaccio». La coppia le ha regalato una copia di Just Kids. Bridget è arrivata più o meno a metà – e del resto ha un bambino di due anni.

«Finirò il libro», promette. «Sapete quando si finisce di leggere una cosa e si ha voglia di saperne ancora di più? Ecco, probabilmente quando finirò il libro vorrò sapere dove vive oggi Patti Smith».

La famiglia ha comprato casa a Bed-Stuy, dove si trasferirà in maggio, il che significa che l’appartamento sarà di nuovo sul mercato. Arriverà un altro affittuario e una nuova storia si aggiungerà a quelle di chi ha vissuto qui.

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