C’è una cosa che sancisce più di ogni altra la maturità di un genere, e/o di un mercato, a seconda che si guardi la faccenda dal punto di vista dell’arte o da quella del business: la varietà.
E l’autunno del 2018, per la musica urban made in Italy, è più vario che mai. C’è Gué Pequeno, che nei 36 minuti e 18 secondi di Sinatra compila un impeccabile manuale di tutte le sfumature del rap; c’è Emis Killa, che, nonostante le incursioni nel mondo del pop del suo Supereroe, non perde una virgola della sua credibilità da liricista; c’è la Dark Polo Gang, che contrariamente al titolo dell’album, Trap Lovers, con l’affiancamento dell’hitmaker Michele Canova Iorfida, cerca di muovere i primi passi nella musica leggera italiana; e c’è per no Mahmood e il suo EP Gioventù Bruciata, uno dei primi esperimenti solidi e credibili di contemporary R&B di casa nostra (alleluia!).
In cotanta abbondanza ormai ce n’è davvero per tutti i gusti, come succede già da anni negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Francia, e come da anni auspicavamo succedesse anche da noi. Ma più aumenta la qualità delle produzioni, più è evidente che la vera competizione sia per pochi, e per durare più di una stagione non basta un sound accattivante o un’immagine iconica.
A parità di hype vincerà sempre chi sa davvero rappare, scrivere, cantare, indipendentemente dallo stile o dal proprio universo di riferimento. E soprattutto chi sa metterci il cuore, oltre che la testa: perché, al di là di tutto, anche nel materialismo spinto del rap game, creare un disco che influenzi davvero l’immaginario collettivo rimane un’arte, e non soltanto un business.