Come ogni popstar che si rispetti anche Claudio Baglioni porta con sé il sogno della totalità espressiva, della molteplicità, dello spettacolo che cioè amplifica sé stesso e si irradia dal palco al pubblico esplodendo non in una sola arte ma in un pastiche di più discipline.
Per questa ragione, ieri sera, in un’Arena di Verona come mai la si era vista prima, è nato “Al centro”, il super-show che per la prima volta nella storia contemporanea riporta il palco dell’anfiteatro romano proprio al centro dell’arena, riprendendo la gestione originaria di questo straordinario spazio, annullando sensibilmente le distanze tra pubblico e performance e concedendo agli spettatori una nudità espressiva dell’artista pressoché totale moltiplicando il loro punto di vista.
L’occasione è ghiotta: festeggiare i 50 anni di hit e di racconti italiani di Claudio Baglioni e farlo in grande stile con uno spettacolo senza precedenti che include 22 polistrumentisti, un centinaio di performer e una trentina di artisti del mondo dell’arte, della pittura, della danza. Lo spettacolo, con la regia teatrale e le coreografie di Giuliano Peparini (già, tra gli altri, al Teatro Bol’šoj, alla Scala e all’Opéra) vuole specialmente essere la grande narrazione sonora e visiva di mezzo secolo del miglior cantautorato spudoratamente pop mai avuto in Italia, il continuo incontro riuscito tra la più grande popsong italiana e il racconto d’autore, quello di un fine osservatore, di un sorprendente scrittore e di un raffinato e coltissimo musicista. Perché Baglioni, e ce lo ricorda immediatamente anche stavolta, punta in alto, è colto ed eternamente preparato a innalzare il racconto del mondo e il racconto di sé.
Il sogno di arrivare “al centro”, ci dice lui stesso, nasce da lontano, da quando ragazzino, col soprannome ormai indimenticabile di Agonia, dopo essere stato il leader del gruppo beat del suo condominio di Centocelle, vagheggiava insieme ai suoi coetanei, proprio come Richard Wagner ben prima di lui, uno spettacolo in grado di unire musica, danza e teatro. E lo spettacolo ieri sera è finalmente arrivato, curato in ogni minuscolo dettaglio, su 450 metri di palcoscenico e otto pedane computerizzate ma, soprattutto, sulle note di 34 canzoni faticosamente scelte all’interno dell’intera discografia di Baglioni, almeno una per ciascun album dagli inizi fino ai suoni dei giorni nostri.
Da tremarella ascoltare una dopo l’altra, senza sosta, quest’infilata di hit, da Questo Piccolo Grande Amore a Mille Giorni di Te e di Me passando per Porta Portese, Amore Bello, Poster, Sabato Pomeriggio, E Tu Come Stai?, Via, Strada Facendo, E Adesso La Pubblicità, La Vita è Adesso e qualche chicca come un’inattesa Un Po’ Di Più con arrangiamenti che oscillano tra rock e sinfonia, orchestrazioni e inserti di fiati sorprendenti. Le sappiamo tutte, tutti le sanno tutte e se certamente l’attenzione cala un po’ negli ultimi venti minuti, prima del gran finale bagnato sotto una pioggia scrosciante – parte anch’essa della performance multidiciplinare? – la sensazione che rimane costante è quella di trovarci di fronte a una multi-lezione gigantesca.
Baglioni mette in scena il pop che celebra sé stesso, spingendosi anche, in questa circense enormità teatrale fatta di trapezisti, ballerini, a rinunciare al suo più profondo grado di intimità per concedersi al gioco, alla spettacolarizzazione totale del suo verso che è invece, per natura originaria, strutturalmente emotivo, confidenziale, introspettivo. Il gioco del contrasto si può fare specialmente per una ragione:Baglioni ha costruito, con 50 anni di musica alta e insieme popolare, continuamente colta nelle ossa della propria struttura armonica e nazionalpopolare nella resa e nella fruizione, le ragioni stesse di questo super-show che funziona proprio perché costruito, prima che sull’effetto speciale continuo, su una produzione discografica che ha saputo essere da fuoriclasse almeno per 40 di questi 50 anni.
In altre parole possiamo dire che è l’autorialità di Baglioni a renderne possibile il circo, che sono continuamente la malinconia, e lo struggimento della sua canzone, il suo buio più denso costruiti ieri, a rendere credibile oggi e sostenerne il colore e lo spettacolo. L’elemento lirico che nel concerto pare sottostare a quello giocoso, ne è invece, piuttosto, il lasciapassare continuo, dimostrando allo spettatore come sia il cantautore Baglioni a non far mai apparire eccessivo il Baglioni popstar.
“Al centro” all’Arena di Verona si replica stasera 15 settembre anche in diretta su Rai Uno alle 21.05 per la regia di Duccio Forzano e poi domani, domenica 16.
A partire dal 16 ottobre, invece, fino a novembre, Baglioni si metterà al centro di Arene e Palasport di tutta Italia, per poi ricominciare il 16 marzo fino alla fine di aprile.
Al centro di queste due tranche agonistiche c’è quello che lui chiama ironizzando “l’impegnuccio”, cioè il suo secondo anno alla conduzione del Festival di Sanremo. Per ora non svela nulla, ed è giusto così, in fondo che Baglioni sia fatto e non da oggi per quel palco ligure, è lo stesso palco dell’Arena, in queste ore, a dimostrarlo. Più che fare Sanremo, guardando questo grande show, viene da pensare che Baglioni costituisca proprio un’importante essenza di come dovrebbe essere o tornare a essere il Festival: un mix di lirica e post malinconica celebrazione contemporanea della nostra canzone e un gran circo pop colorato, un compromesso naturale senza trucco, che non rinuncia al bello ma ce lo offre scegliendo apertamente di non risparmiare sul gusto.