Arca sta lanciando rose bianche dal palco: «One for you, one for you and one for you». In pochi secondi, l’ex ragazzo schivo e taciturno che fino a qualche tempo fa era per tutti “quello che fa i dischi a Bjork e Kanye West” fa fuori una buona dozzina di steli senza spine, regalandoli a un pubblico che era già in visibilio prima, durante la performance, figuriamoci dopo le rose. Appena sotto il palco—tra l’altro non ricordo nelle edizioni precedenti un setup simile, con tanto di penisola che permette ad Arca di addentrarsi nella folla rimanendo onstage—Oscar Powell e Wolgang Tillmans seguono la performance. Un po’ divertiti dall’eccentricità dell’artista venezuelano e un po’ sbalorditi da una una voce che fino a pochissimo tempo fa era un privilegio per pochi amici e conoscenti mentre oggi è di tutti, i due se ne stanno lì, in contemplazione.
Da produttore Arca è uscito dalla crisalide per diventare un performer, che probabilmente fra qualche anno mangerà in testa a Lady Gaga. Se tutto ciò dovesse succedere, il merito è anche di Club To Club. Proprio qui un anno esatto fa, Alejandro Ghersi ha cantato per la prima volta in pubblico recapitando, proprio come ora, pacchi di endorfine e brividi a chiunque fosse presente. Per Powell e Tillmans probabilmente è la prima volta, e si vede dal silenzio ossequioso dipinto sui loro volti. Loro comunque si sono esibiti la sera prima, giovedì 2 novembre, chiudendo una serata che onestamente rischiava di perdersi un po’. Non certo per Artetetra ma piuttosto per il nome che forse ha attratto più gente in quel secondo giorno di festival alle neonate Officine Grandi Riparazioni: Kamasi Washington.
Come già era successo nel suo live a Milano qualche tempo fa (mi pare fosse l’anno scorso), il sassofonista dallo sguardo severo sfoggia su disco una cura maniacale nei dettagli e negli impercettibili equilibri fra gli elementi, mentre dal vivo sballa tutto. Tutto. Per cui, esempio spiccio, se nell’ultimissimo Harmony Of Difference la batteria è una e suona blanda e composta come in un disco jazz (che poi, vai in un jazz club a parlargli di Kamasi Washington e vedrai le risate che si fanno), sul palco invece ti ritrovi a sorpresa due batteristi. Anche bravi, eh, ma pur sempre due e ognuno che cerca sempre un po’ di prevaricare l’altro. Per cui ben venga la Difference, a patto che per davvero ci sia ‘sta benedetta Harmony. Si finisce quindi per odiare un po’ una performance che sulla carta ha tutto in regola ma nell’effettivo fa acqua. A metterci una pezza arrivano Powell e Tillmans, un maniaco dei bleep acidi e un fotografo col pallino per tutto ciò che è corpo, carne. Uno lancia arpeggi elettronici e casse sghembe, l’altro visual intrippanti, riportando il pubblico di OGR nel secolo in cui vive—bello anche il contributo di Richard Russell, patron di XL Recordings e il suo progetto Everything is Recorded. Ora però i due neanche ci pensano più al giorno prima. Se ne stanno lì, rapiti da Arca e il suo bipolarismo artistico che alterna attimi di solenne pathos vocale a violenti raptus di ballo, mentre il fedele Jesse Kanda si prende cura dei visual. Come sempre espliciti e scioccanti.
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Fra il pubblico della sala principale del Lingotto scorgo anche i Renaissance Man, che si sono appena esibiti sullo stesso palco sotto l’anagramma di Amnesia Scanner. Facilmente, uno dei progetti più attuali (e forse visionari) che ci siano in circolazione, soprattutto per la capacità di contenere nello stesso guscio glitch distopico, pop illuso, hip hop del futuro e crudo industrial: insomma, avant pop come il festival che lo ospita ormai da un paio d’anni. Si difende bene anche il Red Bull Music Academy Stage, che nei due giorni caldi di venerdì e sabato ospita lo zoccolo duro delle avanguardie elettroniche mondiali: dal sinuoso fascino del live di Kelly Lee Owens alla post-footwork impazzita di Jlin, dalla nuova era di Mana (fka Vaghe Stelle) al revival hardcore di Gabber Eleganza. Menzione davvero (ma davvero) speciale per Yves Tumor, che si fa incatenare alle transenne da un uomo incappucciato facendo di un live una vera e propria installazione dove l’artista cerca di fuggire dai vincoli metallici coinvolgendo anche il pubblico.
E se venerdì è più avant nella proposta artistica, sabato è decisamente più pop. C’è parecchio hype sul live di Liberato, tanto che in molti si presentano già al talk che abbiamo avuto l’onore di tenere il pomeriggio stesso all’Absolut Symposium insieme a Francesco Lettieri, registra tra l’altro di tutti i video del criptico napoletano incappucciato. Salirà per davvero lui sul palco a cantare oppure sarà una mezza sòla come quando al MiAmi festival di quest’estate si sono presentati Izi, Calcutta e compagnia bella? Sia ringraziato il Cielo, c’era lui. Lui alla voce, con luci alle sue spalle (che lo sottoespongono, lasciando al pubblico solo la vista di una silhouette) e altri due incappucciati ai pad elettronici. Nove Maggio, Gaiola Portafortuna, Tu t’è scurdat e me e questo nuovo inedito danzereccio che sa di UK bass quanto un pezzo di Julio Bashmore. Quattro pezzi dilatati per riuscire a cavarne fuori un’onestissima ora di live e tanti brividoni per aver assistito alla prima vera esibizione dal vivo di Liberato. Seguono un Mura Masa da Oscar, soprattutto per essersi portato dietro come sempre una delle artiste più talentuose nel Regno Unito, e un Richie Hawtin immenso, lineare e solido come il binario di una linea ad alta velocità.
Contemporaneamente, lungo buona parte della programmazione del festival al Lingotto, alle OGR i Kraftwerk si sono cimentati in una delle imprese più grandi mai fatte dalla band di Ralf Hutter: suonare dal vivo l’intera discografia. Quattro sere, otto album allucinanti e un setup 3D (distribuiscono all’ingresso gli occhialini di carta) che due giganteschi TIR parcheggiati fuori dalle OGR hanno trasportato a Torino dalla Germania. Quanto a loro (della formazione originale ne rimangono la metà), sembra che a forza di passare una vita a fare i manichini robotizzati abbiano trovato per davvero il modo di sconfiggere l’età, forse sostituendo il carbonio delle cellule con il freddo silicio dei circuiti.
Con gli ultimi due dischi usciti in ordine cronologico, The Mix del 1991 e Tour de France del 2003 stasera calerà il sipario sul migliore festival che ci sia in Italia. Un evento, arrivato quasi alla maggiore età con questa 17esima edizione, che in quanto a offerta artistica e ragion d’essere meriterebbe la rosa più grande che Arca abbia da lanciare. Bianca, se possibile.