Nel necrologio del 1981 di Bob Marley, che trovate nello speciale di Rolling Stone a lui dedicato da oggi in edicola, il suo biografo Timothy White scrisse: «L’immagine ricorrente di Bob Marley è quella di un rasta sorridente con uno spinello enorme stretto tra i denti, sempre sballato e senza alcuna considerazione del mondo. In realtà, Bob Marley era un uomo con sentimenti religiosi e opinioni politiche molto profonde, che ha saputo elevarsi dalla sua condizione di indigenza per diventare uno dei personaggi musicali più influenti degli ultimi 20 anni».
Anzi, degli ultimi 50 anni. La sua caratura e influenza come cantante, autore e profeta della cultura pop internazionale non ha fatto altro che crescere da quando sono state scritte quelle parole. È un punto di riferimento della musica del XXI secolo, autore di canzoni che sono state reinterpretate da innumerevoli artisti, oltre che citate e campionate nell’hip hop da musicisti il cui Dna artistico è stato profondamente condizionato dalla musica giamaicana. La sua coraggiosa creatività e la dedizione ai temi sociali sono ancora oggi fonte di ispirazione per attivisti di ogni tipo. Le sue canzoni di libertà sono diventate inni universali.
Robert Nesta Marley è nato nelle campagne della Giamaica nel 1945, figlio di un inglese bianco e in là con gli anni che gestiva una piantagione e della sua moglie giamaicana, 18enne e dalla pelle scura. I suoi genitori si sono separati presto e lui è cresciuto sballottato tra parenti e amici. Negli anni ’60 ha vissuto per un po’ in America nel Delaware, dove sua madre si era trasferita, lavorando in fabbrica e scrivendo canzoni. Al tempo aveva già iniziato la sua carriera nella musica, prima come solista (con il pezzo Judge Not del 1962), poi insieme agli amici Winston Hubert McIntosh (Peter Tosh) e Neville O’Riley Livingston (Bunny Wailer) nella band The Wailers.
Questo speciale comprende anche un elenco definitivo e commentato delle migliori 50 canzoni di Marley e aneddoti sulla registrazione di album storici come Catch a Fire e Natty Dread. Oltre alle riflessioni di Timothy White sulla sua morte, il tributo di amici e fan e interviste con diversi dei suoi figli, contiene anche la storia scritta da Mikal Gilmore nel 2008, una riflessione sulla vita di un uomo che è stato venerato come un dio, un artista di immenso talento e umanità che ci ha aiutato a visualizzare l’immagine di una vera unità (One Love se volete) attraverso una musica universalmente riconosciuta come irresistibile. “Marley ha cantato di tirannia e rabbia, di brutalità e apocalisse usando note attraenti, non dissonanti”, scrive Gilmore, “le sue melodie risuonano nelle nostre menti, nelle nostre vite e ci offrono l’opportunità di entrare nel significato delle sue canzoni. Era il maestro dell’insurrezione melodiosa”.
Quelle melodie vengono cantate ancora oggi. Nello speciale da oggi in edicola troverete la storia che c’è dietro.