C’è una cosa in comune tra la regina d’Inghilterra, Bono, Madonna, George Soros, l’ex comandante supremo della Nato in Europa e il co-fondatore di Microsoft: hanno tutti investito in società offshore e i loro nomi sono nella lista di Paradise Papers, l’enorme fuga di notizie che ha svelato i magheggi finanziari dell’élite mondiale. L’inchiesta è firmata dallo stesso network dei Panama Papers, lo scandalo che lo scorso anno ha coinvolto personalità della politica e dello sport.
I 13,4 milioni di documenti – raccolti da un quotidiano tedesco e studiati da giornalisti di 67 paesi – provengono da due studi internazionali esperti di società offshore: Appleby (sede nelle Bermuda) e Asiaciti Trust (con base a Singapore); e da 19 registri commerciali di molti paradisi fiscali, Antigua, Malta, Cook Island e altri. I nomi venuti fuori dal leak sono tantissimi: 120 politici di tutto il mondo, case reali, istituti religiosi, finanzieri, vip e anche musicisti. In Italia sono stati pubblicati dall’Espresso in collaborazione con Report.
Tra i clienti di Appleby, lo studio dall’immagine pubblica immacolata – L’Espresso parla di “fama più che centenaria, sempre attento a non incappare in problemi legali” – che si è ritrovato al centro dello scandalo, ci sono anche due nomi enormi del mondo della musica: Madonna, che possiede azioni di una società di forniture mediche, e Bono, che tramite una società registrata a Malta chiamata Nude Estates ha investito nell’Aušra mall, un centro commerciale in Lituania.
Bono: “Essere dei filantropi e degli attivisti non significa essere degli sprovveduti negli affari”
L’investimento risale al 2007 ed è perfettamente legale, e tecnicamente Malta non è un paradiso fiscale. Non si può dire lo stesso però dell’Isola di Guernsey, dove ha sede una seconda società – la Nude Estates 1, di cui Bono è socio – che ora controlla tutta l’attività commerciale lituana.
E mentre Jeremy Corbyn – leader del partito Laburista inglese – chiede pubblicamente le scuse della sua regina, anche Bono ha risposto alle accuse tramite la sua portavoce: «Bono era un investitore minoritario e passivo nella Nude Estates Malta Ltd, una società legalmente registrata fino al 2015, anno in cui è stata chiusa volontariamente». La risposta è arrivata indirettamente, un po’ come tutti gli affari che si fanno ogni giorno nei paradisi fiscali.
Non è la prima volta che il leader degli U2 si ritrova coinvolto in un caso del genere. È già successo nel 2011, quando gli attivisti di Art Uncut hanno esposto lo striscione “U pay tax 2?’ durante l’esibizione degli irlandesi sul palco di Glastonbury. La band era accusata di aver spostato le sue attività economiche fuori dall’Irlanda per pagare meno tasse.
Paul McGuinness, lo storico manager della band, aveva risposto che «gli U2 sono un fenomeno internazionale e quindi pagano le tasse globalmente». Bono aveva aggiunto: «Ci sono persone molto brave che lavorano per noi e cercano di gestire la tassazione delle nostre attività economiche. Paghiamo una fortuna in tasse e siamo felici di farlo. Ma essere dei filantropi e degli attivisti non significa essere degli sprovveduti negli affari». Adesso viene proprio da credergli.