Antonello Venditti: «Dopo la separazione pensai di farla finita, mi salvò Lucio Dalla» | Rolling Stone Italia
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Antonello Venditti: «Dopo la separazione pensai di farla finita, mi salvò Lucio Dalla»

Nell’intervista di Aldo Cazzullo sul ‘Corriere’, il cantautore torna sul momento più difficile della sua vita e racconta anche il suo rapporto con la politica: «Conoscevo i terroristi, avrei potuto diventarlo anche io, ma il Sessantotto lo vissi pure dalla parte dello Stato. Grazie a mio padre». E sulla madre: «Mi bullizzava»

Antonello Venditti all'Auditorium Parco Della Musica di Roma nel 2022

Antonello Venditti all'Auditorium Parco Della Musica di Roma nel 2022

Foto: Roberto Panucci/Corbis via Getty Images

L’amico di Ci vorrebbe un amico? è «Lucio Dalla», racconta Antonello Venditti in un’intervista di Alzo Cazzullo sul Corriere per i 40 anni di Cuore e Notte prima degli esami. «Lucio mi salvò la vita, al tempo della mia separazione. Fu lui a capire che mi dovevo allontanare da Roma, e così per due anni vissi al castello di Carimate, in Brianza, dove venivano i più grandi artisti italiani a incidere i loro dischi. Pino Daniele, i Pooh, Fabrizio De André. Con Fabrizio passavamo notti a parlare, ad approfondire le nostre vite. Fu allora che diventammo davvero amici. Ma poi loro il venerdì partivano; io restavo solo. Sull’orlo del baratro. Entravo in un posto e dovevo uscire. Tutto mi faceva paura». E ancora, ritornando di nuovo al periodo più difficile della sua vita: «Più volte pensai di farla finita. Magari schiantandomi in macchina. Poi temevo di far del male agli altri. Avrei potuto centrare un albero. Ma guidavo troppo bene…».

Ma il cantautore romano ricorda anche il rapporto con la madre: «Mi bullizzava. Mi diceva che ero sciocco e che ero grasso come un maiale; e la seconda cosa era vera. Ora lo chiamano body shaming. Ho letto la storia di Tiziano Ferro, e mi è parso che avesse copiato la mia vita». Venditti dice di aver preso dal padre «la vitalità, l’arguzia, lo spirito ribelle. E un poco anche il dono di prevedere il futuro». All’osservazione di Cazzullo “In questo mondo di ladri è del 1988, quattro anni prima di Tangentopoli…”, replica: 
«Mi accorgo di cose di cui altri non si accorgono. Ero a Parigi con la mia compagna, che può confermarglielo. Mi sveglio e dico solo due parole: Terremoto… L’Aquila. Lo stesso mi è accaduto prima del terremoto di Amatrice. Il 29 novembre 2019 dissi che ci sarebbe stato un fatto immenso, inaudito, a livello mondiale: era il Covid».

E poi c’è spazio per la politica: 
«I terroristi li conoscevo. Adriana Faranda era mia vicina di casa al Circeo. Giusva Fioravanti era nel mio liceo, il Giulio Cesare. Negli anni ’70 Pierluigi Concutelli volle incontrarmi, ed è possibile che ci siamo visti a pranzo. Ho sempre frequentato anche quelli dell’estrema destra. E il Sessantotto lo vissi pure dalla parte dello Stato. Grazie a mio padre […] Mi lasciava libero di sbagliare. Però mi spiegava, carte alla mano, come stavano le cose […] Anche per questo non sono diventato un terrorista. Perché avevo capito il grande inganno che c’era dietro il Sessantotto».

Della situazione odierna invece dice: «Speravo che la destra si accontentasse della vittoria elettorale. Infine siamo tornati a una situazione pre-Berlusconi, al tempo del Movimento sociale. Viene da ringraziare che nel frattempo sia nata Forza Italia. Mi colpisce la frequenza con cui ripetono la parola “nazione”. Ma nella nostra Costituzione la nazione non esiste; esiste lo Stato». Su Giorgia Meloni dichiara «è una persona che fa. Si muove. Appartiene, come Elly Schlein, a una nuova generazione che fa ben sperare. La Meloni si sveglia la mattina e tenta di riparare i danni e gli abusi dovuti alla palese impreparazione di tanti che la circondano […] una mentalità da olio di ricino, un avvertimento permanente: stai attento a come parli e alla faccia che fai, ti faccio passare la voglia di dire quello che pensi, perché ti potrebbe succedere di tutto… Si vive nel terrore».

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