Fino a qualche anno fa, quando ci si fermava a mangiare una tagliatella al ragù in un’osteria bolognese, poteva capitare che dietro i fornelli ci fosse Emidio Clementi, già allora voce dei Massimo Volume e scrittore. Oggi “Mimì” ha tolto il grembiule: è un romanziere di successo e metà del duo Sorge, ma come lui ci sono cantanti, chitarristi, bassisti e batteristi che, per passione o per necessità, sopravvivono grazie a mestieri che spesso non hanno nulla a che fare con note e armonie.
Chissà quante volte vi sarà capitato di farvi fare il conto al supermercato da un membro della vostra band preferita, e chissà se il barista che vi ha preparato la colazione questa mattina suona in uno dei gruppi che avete visto in concerto l’estate scorsa. A volte timidi, spesso volontariamente irriconoscibili, i volti (meno) noti della musica italiana sono un po’ dappertutto.
A Bologna, ad esempio, all’Osteria dell’Orsa, se siete fortunati le tagliatelle potrebbe portarvele al tavolo Roberto Grosso Sategna, batterista di Cosmo e dei Drink To Me, ora alle prese con un progetto solista con lo pseudonimo Dieci, il cui primo singolo Twin Peaks è uscito il 15 maggio scorso per la 42 Records. Capita che qualche ragazzina lo riconosca e rimanga ammutolita di fronte alla cassa del ristorante, o che qualcuna si stupisca di vederlo sul palco dopo essersi fatta consigliare il menù del giorno, ma la maggior parte dei clienti lo osserva sparecchiare senza immaginarne il talento musicale.
Poco lontano, allo Zoo Cafè, a servire le colazioni c’è un personaggio che alla musica indie italiana ha regalato più di un progetto: Jonathan Clancy, voce e chitarra di Settlefish, A Classic Education, His Clancyness. «Una volta, quando portavo i baffi – racconta il musicista italo-canadese – un ragazzo sulla quarantina mi ha chiesto se fossi un cantante. Alla mia risposta affermativa è esploso in un “Lo sapevo, sei Max Gazzè!”».
Che dire di Francesco Sarsano, bassista di Calcutta (e dei Vanilla Sky) la notte e commesso a La Feltrinelli di Latina di giorno. Tra un consiglio di lettura e la ricerca di un cd, capita che a “Cisco” arrivi anche qualche letterina dalle fan, per lui stesso o da consegnare a Edoardo D’Erme.
E chissà in quanti si sono rivolti a Luca Mazzieri, in arte JJ Mazz e Wolther Goes Stranger, in “vita” consulente d’investimenti per una grossa banca italiana. «Fino a poco tempo fa ero solito tenere nel bagno dell’ufficio un paio di jeans neri, una camicia un po’ freak e una giacca di pelle – racconta il musicista -. Capitava spesso che all’orario di uscita entrassi in bagno in giacca e cravatta e uscissi vestito da rocker tra i sorrisi dei colleghi. Una volta, però, ero a suonare molto lontano e non avevo fatto in tempo a passare da casa, così sono arrivato al lavoro la mattina in jeans e giacca di pelle, ma il cliente con cui avevo appuntamento era in anticipo così mi ha visto entrare vestito da rocker, fiondarmi in bagno ed uscirne in giacca e cravatta!». Cose che capitano ad un Superman moderno.
Anche il milanese Edda, all’anagrafe Stefano Rampoldi, racconta che un sacco di volte i membri della sua band lo hanno accompagnato direttamente al cantiere dove montava ponteggi. Oggi l’ex leader dei Ritmo Tribale è in tour con il nuovo album Graziosa Utopia (Woodworm) e lavora saltuariamente come traduttore: «Lo faccio insieme alla mia fidanzata – dice – ma se avessimo avuto una carrozzeria farei il carrozzaio. Ho sempre pensato che fare due mestieri differenti fosse la condizione ideale, perché essere sempre costretti a creare qualcosa per sopravvivere può essere snervante. Cosa succede se ad un certo punto non ti viene in mente nulla? Ogni musicista dovrebbe avere un lavoro, anche uno brutto».
Jukka Reverberi, ad esempio, fa un mestiere serissimo. Dipendente del Comune di Reggio Emilia, il chitarrista dei Giardini di Mirò si occupa in particolare di servizi di emergenza abitativa e campi nomadi. E mentre sta lavorando con la band ad un nuovo album che sarà pronto all’inizio del 2018, racconta di quella volta in cui ad un concerto ha riconosciuto in prima fila alcuni nomadi che aveva incontrato per lavoro e che, evidentemente, erano curiosi di vederlo suonare.
Ntendarere Djodji Damas, cantante dei Giuda, fino a due anni fa lavorava come insegnante di educazione fisica e allenava squadre di pallacanestro in carrozzina di altissimo livello. «I miei allievi sono venuti spesso ai nostri concerti – ricorda “Tenda” – ma in particolare una volta abbiamo suonato al Black Out di Roma e si sono presentati quasi tutti i membri della Santa Lucia Sport, la quadra di serie A di basket in carrozzina che allenavo a quei tempi. È stato fantastico: li abbiamo fatti salire tutti sul palco». Ntendarere è uno dei pochi che ha lasciato tutto per dedicarsi interamente alla musica. Ora infatti i Giuda stanno vivendo un momento d’oro: in tour con l’album Speaks Evil (Burning Heart Records), la band romana sta per affrontare alcune date in Europa ed un lungo tour negli Stati Uniti.