È abbastanza significativo che il Sonar, di Barcellona che mai come quest’anno ha scelto come tema le “connessioni”, sia iniziato con un Dj set di Bjork. Quattro ore di sperimentazioni sonore dell’artista islandese nella sala Sonar Hall, buia e solenne con le pareti ricoperte di tende rosse, che diventano il simbolo perfetto dell’evoluzione del festival di musica elettronica più importante d’Europa, che si avvicina alla 25esima edizione (nel 2018) continuando la sua ricerca di un’idea di “musica avanzata”.
Il Sonar è cultura digitale, Bjork è la creazione di un linguaggio innovativo che parte dalla matematica dei suoni e arriva a raccontare tutto. Il palco è un’enorme foresta di piante verdi in cui Bjork appare e scompare dietro ai rami ed alle foglie, nascosta dietro ad una delle sue incredibili maschere, un grande vestito con un cappello bianco e il volto interamente coperto, che la fanno sembrare una creatura a metà tra uno spaventapasseri, una contadina postmoderna ed un antico folletto della natura. Parte con sequenze di suoni minimali, vibrazioni binarie, rumori e poi come in un’operazione di calcolo aggiunge e moltiplica modificando le frequenze poi pesca nel suo computer in una libreria di suoni che lei stessa ha definito “la più grande del mondo” e mette insieme canti arabi e ritmi trap, reggae-dub sintetico e pop giapponese, techno e canti tribali, come se volesse raccontare ogni luogo del mondo.
“Ho suoni di ogni tipo” ha raccontato Bjork, “Dalle registrazioni dei canti degli uccelli dell’Amazzonia ai compositori minimalisti”.
Il risultato è disturbante, poi onirico ed infine esaltante, come ogni cosa che abbia un pensiero artistico dietro. È proprio questa l’idea di musica avanzata che il Sonar cerca: non solo festa e consumo ma un ragionamento, un’esperienza digitale che alla fine ti lascia con una domanda: ma è reale? Bjork è esattamente questo, una creatura artistica indefinibile che ti lascia sempre con il dubbio che forse non sia veramente lì (in fondo dietro alla maschera da spaventapasseri potrebbe esserci chiunque) ma alla fine comunica e ti lascia qualcosa.
“Non ha molto senso per un artista raccontare solo il reale, la cosa importante è immaginare mondi lontani e diversi” come ha raccontato agli studenti della Redbull Music Academy l’anno scorso. La grandezza di Bjork è quella di aver trovato nella sua arte (visiva e musicale) e anche nel suo personaggio, un punto di incontro perfetto tra due elementi contrapposti: la tecnologia nelle sue forme più avanzate e la natura. Bjork è vulcano, lava, spiagge gelate dell’Islanda, rocce e piante ma anche realtà virtuale, video avanzatissimi, trasformazioni digitali, beat elettronici ultrasintetici. “Quando ero piccola per andare a scuola camminavo per 40 minuti in mezzo alla natura, con qualsiasi tempo” dice lei stessa in un documentario che racconta il suo incontro al Museo di Storia Naturale di Londra con il più grande naturalista del mondo, Sir David Attenbourough, che è un suo grande fan. È lui a ricordarle che la musica non è altro che una sequenza matematica, come le catene di atomi che compongono il mondo. «Yeah, yeah!» risponde lei gridando felice come una studentessa senza età.
Questo incontro con Attenborough fa parte della mostra Bjork Digital, inaugurata in occasione del Sonar al CCCB di Barcellona (in cui arriva dopo Sidney, Montreal, Tokyo, Reykjavik, Londra e Los Angeles per restare fino al 24 settembre), una sequenza di video tratti dalle canzoni dell’album Vulnicura e realizzati da Andrew Thomas Huang, Jesse Kanda e Dentsu Lab Tokyo, che Bjork ha voluto creare per raccontare sé stessa e la sua rinascita personale dopo la fine del matrimonio con Matthew Barney attraverso lo strumento della Realtà Virtuale. Novanta minuti di immersione totale nel mondo intreriore di Bjork, un viaggio spettacolare da “Black Lake”, commissionato dal MoMa di New York e ambientato in una spiaggia in Islanda fino alla trasformazione digitale di “Family” in cui racconta la sua risurrezione dalla disperazione ad una nuova legittimazione di sé stessa, fatta attraverso lo strumento che ama di più, la sua voce. “Ho cercato di mettere insieme musica, immagini ed emozioni. È un esperimento” ha spiegato Bjork. Tecnologia, natura e sentimenti: con Bjork Digital ha costruito un’altra operazione impeccabile, che non si dimentica facilmente. Come il suo Dj set di apertura del Sonar, che fa riflettere e fa venire qualche dubbio, ma poi fa anche ballare. Perché in fondo è questo quello che siamo venuti a fare tutti.