Esterno notte, marciapiede davanti al Fabrique di Milano. È terminato da poco il concerto di FKA Twigs, la rivelazione del momento. Gli addetti si apprestano a smontare il palco quando si accorgono di un gruppetto intento ad accamparsi davanti al locale. «Ragazzi, FKA se n’è già andata, tornate a casa!», li avverte qualcuno. «FKA chi? Noi siamo qui per il live dei Block B di domani, non vogliamo perderci il posto in prima fila» rispondono loro.
All’alba quella manciata di persone si è già trasformata in una piccola folla e nel pomeriggio, quando arriviamo noi per la conferenza stampa, è diventata un serpentone che si snoda per oltre 500 metri. Impressionante, non c’è che dire. Resta solo una domanda: chi diavolo sono i Block B?
Si tratta di una boy band formata da sette ragazzi di Seul, giovanissimi e famosissimi patria: si cimentano nel loro primo tour europeo approfittando della mania per il k-pop, il colorato pop coreano, che all’insaputa dei più comincia a dilagare anche qui. Già, perché i supporter nostrani sono ormai migliaia, e difficilmente classificabili – molti teenager, ma anche universitari, hipster, famiglie con bambini, perfino qualche insospettabile musicista.
Anche se non capiscono una parola di quello che dicono, sono disposti a qualsiasi cosa per i loro idoli: tra il pubblico incontriamo ragazze vestite da ape (il simbolo della band) o con una tuta integrale da Hello Kitty (adorata, pare, da uno dei membri del gruppo), e addirittura una ragazza che ha replicato fedelmente il costume che il frontman Zico indossava in un video. Completano il quadro decine di ragazzi olandesi, francesi e spagnoli che stanno spendendo migliaia di euro per seguire tutte le tappe del tour.
I Block B arrivano all’incontro con i giornalisti marciando in una fila ordinata, esibendosi in una sorta di saluto d’ordinanza: visivamente assomigliano ai loro corrispettivi occidentali, anche se per trucco e parrucco forse sono più vicini alle Spice Girls che ai Take That. Le domande che gli possiamo rivolgere (aiutati da un interprete) sono limitate solo ad alcuni argomenti, e le risposte abbastanza standard. Hanno iniziato a fare musica ascoltando i rapper americani come Eminem; amano la moda e la cucina italiana; le fan di Milano sono fantastiche, e via dicendo.
A Seul vivono blindati, perché le fan spesso sono maniacali
Per sapere qualcosa in più sugli idol, come chiamano le star del k-pop, scambiamo quattro chiacchiere con Monica Galvani e Dacia Pajè di Oppa Oppa Magazine, rivista online specializzata in cultura coreana. «La maggior parte di loro vengono reclutati singolarmente dalle case discografiche con un’audizione, dopodiché si sottopongono ad un training che può durare anni. Quando finalmente sono pronti li inseriscono in una boy band, ma l’ultima parola sulla loro carriera è sempre dell’etichetta» ci spiega Monica. «A Seul vivono blindati, perché le fan spesso sono maniacali» incalza Dacia. «Pensa che esistono dei taxi abusivi specializzati nel pedinare gli idol, e che alcuni di loro sono finiti in ospedale per tentato avvelenamento!».
Quando finalmente la band sale sul palco le canzoni – che in effetti sono molto carine, accompagnate da cori e balletti impeccabili – vengono spesso interrotte da lunghi siparietti dedicati alle fan, in cui i boys esaudiscono alcuni loro desideri pescati da una lista. Stranamente, sembra che quello più gettonato sia farli baciare e abbracciare tra di loro (il pubblico coreano, ci spiegheranno Monica e Dacia, ama molto le effusioni tra i membri della band).
Le ragazze che si sono spese di più sui social per pubblicizzare il concerto vengono inoltre invitate sul palco, ringraziate e omaggiate di una mimosa. Insomma: poca musica, molto show. E un lungo meet & greet per chiudere la serata, con tanto di lacrime e crisi isteriche. Certo, non è un concerto di Springsteen, ma noi ci siamo molto divertiti. E di questi tempi non si può dire sempre altrettanto.