Il primo doppio album registrato in studio della storia del rock è uscito il 16 maggio 1966. L’artista è Bob Dylan, che nel 1978 avrebbe dichiarato: «Non mi sono mai avvicinato così tanto al suono che immaginavo nella mia mente… quel suono sottile, mercurio selvaggio». Non esiste descrizione migliore della meraviglia nascosta in Blonde on Blonde.
Dopo diversi passi falsi durante le session di New York nell’autunno del ’65 e nel gennaio del ’66 – insieme a Dylan c’era la sua road band, gli Hawks -, di cui è rimasta solo One of Us Must Know (Sooner or Later), Dylan ha registrato tutte le 14 tracce di Blonde on Blonde in due tranche di quattro e tre giorni, negli studi Columbia a Nashville.
Il ritmo delle incisioni riflette lo stile anfetaminico della sua scrittura e dei concerti dell’epoca. Ma la presenza combinata del fidato organista Al Kooper e di Robbie Robertson, chitarrista degli Hawks, insieme ai session men della zona Kennety Buttrey (alla batteria) e Hargus “Pig” Robbins (al pianoforte), fu determinante per la magnificenza contraddittoria di quel suono.
Nel mezzo di tutto questo caos Dylan ha trovato le canzoni più a fuoco del suo repertorio, racconti meravigliosi di pace e desideri: dalla bellezza obliqua degli 11 minuti di Sad Eyed Lady of the Lowland, registrata in una sola take alle quattro del mattino – e dopo una session di otto ore -, fino a I Want You, brano che rischiava di dare titolo all’album, un capolavoro.
C’è una tensione sottile attorno alle parole di Dylan, che qui canta il surrealismo di brani come Rainy Day Women #12 & 35 e Stuck Inside of Mobile With the Memphis Blues Again, o il blues Chicago-style di Leopard Skill Pill-Box Hat, o ancora la fragile Just Like A Woman, ancora oggi la sua ballad migliore.