«Ora anche gli artisti possono diventare stronzi capitalisti». A Brian Eno gli NFT non piacciono proprio. L’acronimo sta per Non-Fungible Tokens. Si tratta di certificati digitali prodotti grazie alla tecnologia blockchain che, abbinati a qualunque file (una canzone, una fotografia, una illustrazione, un meme, un dipinto) ne attestano l’unicità e che sono al centro di un nuovo mercato milionario a cui si sono uniti da tempo i musicisti (ce ne ha parlato qui in termini positivi Boosta dei Subsonica).
In un’intervista a The Crypto Syllabus il grande produttore e non-musicista (secondo una sua celebre definizione) ha detto che a suo modo di vedere strumenti come gli NFT non rispondono alla domanda «come possiamo rendere migliore il mondo?», ma a «come ci possiamo fare un sacco di grana?».
«Immagino che vi siano degli usi interessanti di queste tecnologie, ma ancora non si vedono», dice Eno. «Non sono nemmeno sicuro che al momento facciano una qualche differenza se non per le cifre che si muovono da un conto corrente all’altro. Che cosa cambia? Chi aiutano? Queste domande rimangono senza risposta».
Gli unici contenti, aggiunge Brian Eno, sono quelli che ci guadagnano e che credono «che una cosa che li avvantaggia debba automaticamente essere giusta per tutti quanti. Tale convinzione è una variante di quello che chiamo automatismo: l’idea cioè che se si lascia che qualcosa – può essere il mercato, la natura, la volontà umana – faccia il suo corso senza impedimenti si otterrà automaticamente un risultato migliore di quello che si otterrebbe interferendo. Chi ha convinzioni di questo tipo, però, non si fa scrupoli ad interferire, semplicemente vuole che nessun altro lo faccia, a partire dallo Stato».
Anche a Eno è stato proposto di trasformare le sue opere in NFT, ma non vi ha intravisto alcunché di utile, «nel senso di qualcosa che aggiunge valore al mondo, non solo a un conto corrente. Del resto, se il mio desiderio più grande fosse stato diventare ricco non avrei fatto l’artista. Gli NFT mi sembrano un modo in cui gli artisti partecipano in modo marginale al capitalismo globale, è la nostra versione bellina della finanziarizzazione. Che bello: ora anche gli artisti possono diventare stronzi capitalisti».