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Brian Eno al Medimex: «Quando decisi che non avrei mai lavorato nella vita»

Il primo grande ospite del Salone dell’Innovazione Musicale, partito il 29 ottobre a Bari, ha spiegato la sua installazione al Teatro Margherita e molto altro
Brian Eno, protagonista del Medimex 2015 di Bari

Brian Eno, protagonista del Medimex 2015 di Bari

È un Brian Eno che non si risparmia quello che ha incontrato il pubblico al Medimex di Bari (Il Salone dell’Innovazione Musicale) in occasione delle sue installazioni al teatro Margherita, tra frecciate ironiche e racconti particolareggiati sulla sua infanzia. Light Paintings è il titolo della mostra che si basa sul legame tra luci e suono, da sempre instancabilmente ricercato dal compositore. Inizialmente infastidito dal brusio che arriva all’arena all’interno del Medimex, l’artista si lascia poi andare al racconto della nascita di quest’ultima opera e parte da quando da giovanissimo decise che nella vita non avrebbe mai voluto “lavorare”, almeno per quello che si intende normalmente con questa parola, ma avrebbe voluto dedicarsi all’arte. «Mi capitarono due episodi a distanza di breve tempo. Il primo quando ascoltai Get A Job dei Silhouelettes e il secondo quando mio padre una sera, tornando a casa dopo una giornata di lavoro (faceva il postino), era talmente stanco da esser crollato sulla cena. Mi spaventai e pensai che avrei fatto di tutto perché non mi capitasse la stessa cosa».

Naturalmente è tutto un gioco di cui il pubblico è consapevole ma che serve a spiegare dove voglia arrivare Eno e che cosa ricerchi in tutti i suoi lavori. Per fare questo sceglie anche di raccontare le scelte in fatto di studi: «Mi iscrissi alla scuola d’arte anche perché era gratuita e non me la sarei mai potuta permettere in caso contrario e mi fu possibile studiare anche matematica, scultura e soprattutto cibernetica che mi piacque moltissimo. Scopri il registatore a nastro, anche, e rimasi affascinato per la prima volta dall’idea che il tempo si potesse in qualche modo invertire». Gli esperimenti caratterizzarono tutti quegli anni e finita la scuola Eno entrò a far parte di una rock band come tutti i suoi compagni. «Mi resi ben presto conto che nemmeno quello mi bastava più», prosegue, «una sera, per esempio mentre suonavo inizi a pensare ad altro ovvero ai vestiti che dovevo lavare. Allora mi resi conto che quello non era il mio posto».

La ricerca della novità era ciò che interessava (e interessa) di più a Brian Eno, come quando un roadie bussò alla porta dello studio dove stava registrando a New York con i Talking Heads proponendo a qualcuno l’acquisto di una telecamera. «Non sapevo usarla assolutamente, non avevo nemmeno un treppiedi per poterla sostenere ma la piazzai verso la finestra per vedere che cosa riusciva a riprendere in strada. Da lì inizia a concepire i video come un modo di dipingere e a pensare che avrei potuto utilizzarli anche per generare immagini e non soltanto per farle vedere. Iniziai a riflettere sulla televisione in modo diverso». Erano gli anni ’70, gli anni in cui Brian Eno iniziava a sviluppare le prime innovative idee sulla ambient music e sul desiderio sempre più forte di unire i suoni alla luce e a concepire quest’ultima come una scultura. Inoltre «una scultura incompiuta perché questo è il mio obiettivo: fare in modo che lo spettatore veda sempre un’opera diversa».

Per questo all’interno di Light Paintings c’è un’opera intitolata 77 Milions Paintings che utilizza 12 monitor che muovendosi lentissimamente producono dipinti sempre diversi che difficilmente uno stesso spettatore potrà vedere due volte: «Adoro l’idea che un’opera continui anche senza di me. Adoro che lo faccia proprio mentre io non lavoro».

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