“Lasciami sussurrare, così che nessuno senta che parlo di ragazze in vendita”: così inizia Brides for sale, brano in cui la giovane rapper afghana Sonita Alizadeh urla la sua storia, la stessa sorte di oltre 37.000 bambine che ogni giorno sono costrette dalle loro famiglie a sposare uomini molto più grandi di loro. Nel 2016, con il trionfo al Sundance Festival del documentario Sonita, diretto dalla regista iraniana Roksareh Ghaemmaghami, tutto il mondo ha conosciuto la sua vicenda.
All’età di dieci anni Sonita fugge in Iran, scappando dal regime talebano e dalla guerra che stava dilaniando Herat, città a nord dell’Afghanistan dove viveva assieme alla famiglia. Una volta a Teheran, non potendo frequentare le scuole perché rifugiata e senza documenti, Sonita inizia a frequentare un’ONG dove, oltre a poter studiare, coltiva la passione per il genere hip-hop nata con le rime di Eminem e della rap-star iraniana Yas. Da quel momento inizia a scrivere in musica della sua storia: la guerra e il regime talebano da cui è scappata, la condizione di rifugiata e il lavoro minorile cui è costretta per sopravvivere cercando di esorcizzandoli con le rime, inseguendo il sogno di diventare una cantante rap.
Inizia quindi l’amicizia con la regista Roksareh che, rapita dai testi di Sonita, decide di aiutarla a produrre e a diffondere le sue canzoni grazie ai primi clip che lei stessa realizza; con un inno alla pace e un brano a favore di elezioni democratiche in Afghanistan, la voce di Sonita comincia a farsi sentire, superando il divieto che proibisce alle donne di fare musica in Iran.
Il suo nome inizia quindi ad attirare l’attenzione di organizzazioni umanitarie da tutto il mondo, ma è quando rappa in abito bianco e con il volto tumefatto, contro lo sfruttamento di ragazzine vendute come merce di scambio nei matrimoni combinati, nel video di Brides for sale, che le sue rime diventano un simbolo. Infatti, come accade ogni anno a moltissime ragazze afghane, Sonita aveva appena compiuto sedici anni quando era stata venduta in sposa da sua madre, a sua volta vittima della tradizione per cui a un uomo adulto è consentito acquistare una ragazzina per farne sua moglie. Difatti, nonostante vi sia una legge che proibisce i matrimoni forzati, in Afghanistan è ancora salda l’usanza per cui è lecito che una famiglia venda le proprie figlie in cambio di un
lauto compenso in denaro.
Nel caso di Sonita la cifra pattuita si aggirava attorno a 9.000 dollari: denaro che, come racconta la rapper oggi diciannovenne nel documentario che prende il suo nome, era destinato alle tasche del fratello maggiore in modo da permettere anche a lui di acquistare una giovane moglie.
“Lasciami gridare, sono stanca del silenzio – recita Brides for sale – toglietemi le mani di dosso, mi sento soffocare”; oggi, grazie all’organizzazione Strongheart Group, Sonita vive e studia negli Stati Uniti, dove è libera di andare a scuola e fare rap. Con Brides for sale la sua voce ha fatto il giro del mondo, ed è grazie alla sua musica che Sonita ha fondato una sua organizzazione, Sonita’s dream, con l’obiettivo di supportare economicamente quelle famiglie che, come la sua, si trovano costrette dalla povertà a vendere le proprie figlie a un’usanza disumana.