Per quanto hype c’era intorno – alimentato o meno dagli stessi protagonisti -, lungo questi quasi tre anni di silenzio non avevamo certo dimenticato Niccolò Contessa, ma anzi continuavamo a parlarne come di una delle penne (e delle menti) più importanti della sua generazione – indie, pop o itpop che fossero i suoi dischi. Qualche giorno fa, il volto dietro I Cani è uscito dal letargo con un pezzo, Nascosta in piena vista, che ha raccolto di nuovo i riflettori su di lui (fatevi un giro sulle bacheche dei vostri amici, se non ci credete), rivendicando ancora, se ce ne fosse bisogno, l’unicità della sua proposta.
Non ho dubbi che il suo atteggiamento schivo – che l’ha portato a sparire dai social, oltre che a centellinare le sue presenze in pubblico negli ultimi tempi – non sia una scelta paracula, un modo per far parlare di sé col silenzio, ma piuttosto l’espressione sincera di una mente articolata e contorta, da capire e apprezzare proprio per il suo essere così introversa, e diversa da quella dei colleghi. E allora, cogliendo l’occasione: da dove partire, per studiarla, se non proprio dalla musica e dalla poetica dei testi de I Cani?
Il cinismo: Questo nostro grande amore
Fra gli aspetti più interessanti che da subito la one-man-band di Contessa ha messo in campo (e che, tutt’ora, si porta dietro), c’è sicuramente il cinismo che alimenta certe liriche. Per esempio, nell’opener dell’ultimo Aurora, Questo nostro grande amore, fra il serio ed il faceto, come un novello stand-up comedian Niccolò parla dell’amore che prova per la sua lei come di un sentimento talmente grande che sarebbe un peccato non “monetizzarlo”, magari “per un libro, una serie, oppure un film commerciale”. Paradossale? Mah, neanche troppo.
Le polaroid: Le coppie
Prima che le polaroid imboccassero la via street di Carl Brave e Franco126, all’epoca de Il sorprendente album d’esordio de I Cani, nel 2011, erano ancora legate a un immaginario pseudo-hipster in cui Contessa – vittima e carnefice – sguazzava beato. Questo modo di scrivere molto fotografico e “istantaneo”, quindi, rese il suo esordio una sorta di documentario sul genere umano, ambientato in una Roma che era microcosmo e macrocosmo al tempo stesso. Niccolò sta, come da prassi, dietro la telecamera, e ne Le coppie ha inquadrato con un’oggettività lancinante la ripetitività delle dinamiche delle relazioni amorose. Più che un trattato di psicologia, un ritratto della misera sociologia che mettiamo in atto ogni giorno insieme ai nostri partner (“le coppie si dicono ‘basta!’, e sui social network non sono più amici. Lei sostiene comunque che lui abbia fatto di tutto per farsi lasciare”).
La passione per la fisica: San Lorenzo
Sfido a trovare, nella musica italiana, un paroliere laureato in matematica come Contessa. In generale, il Nostro è anche un appassionato di fisica e delle scienze, e questo nel lessico dei suoi pezzi non si traduce solo nell’uso dei “paroloni” (sdoganato, tra l’altro, da Battiato, e in tempi non sospetti proprio anche dai Baustelle, una delle massime ispirazioni de I Cani), ma anche in divagazioni mai fini a se stesse. San Lorenzo, dall’album Glamour, è forse il suo pezzo più pop, ma anche quello de “l’energia e la massa, che in realtà sono la stessa cosa, curvano lo spazio e, conseguentemente, anche la luce giunge fino a noi distorta nella forma e nel colore”.
La lucidità nel raccontare i sentimenti: Corso Trieste
Un altro aspetto prezioso della poetica di Contessa è la fredda lucidità, quasi scientifica, con cui racconta i sentimenti. “Ho 15 anni e con le mani in tasca sto tornando a casa anch’io, e in faccia ho freddo mentre sotto alla mia giacca sudo, e ho un groppo in gola ma non so perché. Adesso non ricordo più perché”: se cercate sul dizionario il termine “nostalgia”, potreste benissimo trovarci accanto il testo di Corso Trieste. Pochi versi, quelli di Niccolò, che tratteggiano il ricordo dell’adolescenza e il senso di malinconico estraniamento che si ha quando si osservano i ragazzini di 15 anni, quelli che girano con la “faccia da cazzo (…) da vero duro, con problemi seri”. Che tempi, quelli.
L’esistenzialismo: Calabi-Yau
Se il primo album de I Cani aveva come centro nevralgico Roma, l’ultimo ha espanso il suo nucleo fino a guardare a tutto l’universo conosciuto, facendo dell’essere umano un punto microscopico e inetto, in una galassia invece enorme e straordinaria. È questo, in sostanza, l’esistenzialismo di Contessa: miseri i nostri affanni, le ansie e i turbamenti, così come gli amori, la psicologia e la ricerca interiore. Ci sono miliardi di mondi al di fuori di noi, e siamo talmente piccoli e insignificanti che sarebbe da idioti ritenersi, per qualche assurda ragione, “importanti”. Alla fine, dice lui, “basta cercare la notte su Google il mio nome” per sapere tutto di sé.
Contessa innamorato e felice, nonostante tutto: Lexotan
Ma quindi Contessa è un cinico nichilista che crede solo alla matematica? Non esattamente: I Cani, nel loro repertorio, hanno comunque tantissime canzoni d’amore (o di “non-amore”, se vogliamo) relativamente tradizionali. Sembra quasi, infatti, che l’amore – pur cosciente dei suoi limiti – sia un rifugio per Niccolò, e l’affetto e l’appoggio reciproco la via per continuare ad esistere, consapevoli ma mai vittime della propria finitezza. Il manifesto è tutto in Lexotan, dove Contessa cerca di “ricordare che nonostante tutto c’è: la nostra stupida, improbabile felicità”. E ancora: “la nostra niente affatto fotogenica felicità. Sciocca, ridicola, patetica, mediocre, inadeguata… felicità”.