Oggi parliamo di un produttore che non ha bisogno di essere presentato, nemmeno se a farlo è Charlie Charles. Shablo infatti è uno che nell’ambiente dell’hip hop c’è fin dall’inizio, fin da quando il rap era la nicchia e non il leader del mercato discografico italiano e mondiale.
Vero nome Pablo Miguel Lombroni Capalbo, l’argentino naturalizzato italiano ci ha aperto le porte del suo studio, dove ha creato dischi che ormai si fregiano del titolo di classici.
Scheda Tecnica
Producer | Shablo |
Vero nome | Pablo Miguel Lombroni Capalbo |
Età | 36 |
Origine del soprannome | Una fusione fra il nome e la parola “sciabola” |
Luogo | Milano e Umbria |
Altra professione | A&R, DJ, Editore, Manager |
Etichetta affiliata | Roccia Music, Thaurus, Avantguardia, Universal |
Artisti affiliati | Marracash, Club Dogo, Fabri Fibra, Izi, Salmo |
Producer italiano preferito | Charlie Charles |
Producer estero preferito | J Dilla |
Hit più conosciuta
Come hai iniziato a produrre?
Sono argentino, mi sono trasferito in Italia verso la fine anni Ottanta-inizio Novanta insieme alla mia famiglia. Mi sono approcciato alla musica da giovanissimo, non ho mai fatto altro. È iniziato un po’ come hobby facendo il produttore a metà anni Novanta, poi è diventato sempre più serio fino a diventare un lavoro. L’importante è che inizi come passione e poi rimanga tale.
Tu che hai iniziato a produrre quasi vent’anni fa, pensi che sia più facile con l’era digitale o ci sono dei contro che ormai sono venuti a galla?
Tecnicamente è tutto più semplice e veloce, dato che ti basta un laptop per produrre ovunque e in qualsiasi momento. Però secondo me quello che conta non è se analogico, digitale, plugin o macchina: quello che conta è l’idea. Oggi c’è tanta confusione, tanta musica, tanti input quindi non è detto che sia più semplice di prima nonostante la tecnica. Non c’è molta differenza fra ieri e oggi, basta solo avere le idee.
Qual è la tua prima hit?
Bisogna contestualizzare alla situazione del rap italiano nel mercato discografico di quando ho cominciato. I primi dischi a cui ho partecipato agli inizi non avranno venduto molto ma magari col tempo sono diventati dei classici. Parlo dei primi album dei Club Dogo, Kaos, Inoki e tanti artisti che poi invece sono scomparsi. Quindi, sorvolando sui primi dieci anni di produzione dove abbiamo fatto la fame ma producendo dei classici, forse il primo disco d’oro è O’ Vient di Clementino del 2012.
Quanti rapper hai prodotto finora?
Non mi viene in mente nessuno che non abbia prodotto. Sicuramente con la mia generazione tutti, da Fibra ai Dogo a Marracash, Noyz Narcos. Siamo tutti cresciuti insieme, partendo insieme. Ho avuto anche il piacere di lavorare anche con gente della generazione precedente alla nostra, come Kaos e Tormento. Poi mi è sempre piaciuto affiancarmi ai nuovi talenti emergenti. È fondamentale per un produttore rimanere al passo coi tempi, altrimenti rimani affossato negli anni Novanta.
Che consiglio daresti a un produttore alle prime armi?
La produzione è un gioco, quindi il consiglio è di divertirsi. Il piacere di farlo è la prima cosa per approcciarsi alla produzione. Dopodiché bisogna avere una conoscenza musicale la più ampia possibile. Mai limitarsi a un solo genere, l’ispirazione viene da tutti i generi di musica. Io quando ho iniziato, da buon argentino, nelle prime produzioni ci mettevo anche musica tradizionale come il Tango. La musica contemporanea ha sempre un suo vestito, che si rinnova regolarmente, ma la buona musica rimane. Quella sta sotto il vestito.
Hai un metodo preciso per iniziare un pezzo?
Le variabili sono troppe per avere un metodo preciso. Dipende tutto dall’artista con cui si lavora, del progetto, se sei da solo o ti viene commissionato da altri. A volte ho già un’idea in testa e la traduco in beat, altre invece mi metto lì davanti e vedo se riesco a farmi venire in mente qualcosa. Regola importantissima: se non ti viene in mente niente allora molla lì tutto. Devo essere ispirato e devo avere voglia. Se non ho voglia esco e faccio altro. La produzione è un esercizio creativo anche irrazionale, non la si può forzare.
La richiesta più strana che ti abbiano mai fatto in studio?
Non è molto facile rispondere perché nel mondo che frequento io niente è normale. L’hip hop è una gabbia di matti. Quello che è normale per un rapper non lo è per un altro. L’importante è riuscire a capire le richieste.
Dammi una panoramica del tuo equipaggiamento in studio.
Ho due studi principali, uno a Milano che ho rimesso a nuovo e che inaugurerò a maggio in zona Navigli. E un altro in Umbria che è molto comodo se devi isolarti con gli artisti e ispirarti stando giorni nella pace della campagna. In entrambi comunque uso Logic Pro X come sequencer, casse Genelec, Adam A77x e KRK, schede Apollo, vari synth analogici da usare quando ho tempo e pure un pianoforte verticale Yamaha. Ma mi bastano davvero un laptop, una scheda audio portatile come la Apogee Duet 2 e un paio di controller midi perché, oggi come oggi, la differenza la fa l’idea, non la strumentazione.