Se pensate che Charlie Puth sia il solito YouTuber diventato famoso grazie ai video, vi sbagliate di grosso. Raramente un musicista prende tempo e voglia per spiegare il suo processo musicale, ed è ancora più difficile che vi riveli il suo “viaggio” creativo. Dopo dopo averlo visto (secret concert al Peppermint Club) e intervistato a LA, alla presentazione del nuovo album, Voicenotes, devo ricredermi. Il modo in cui Puth – 26 anni! – vi rende partecipi dell’intero processo è incredibile. E lo fa con una facilità disarmante, pari solo alla sua passione per qualsiasi suono o rumore, dal fischio di un treno (germe del singolo Attention), al paululare di un pavone al parco! È un genio musicale, del tutto comodo davanti a 20 persone o a 50mila. A parte il successo di vari singoli multiplatino (One Call Away, We Don’t Talk Anymore), nomine Grammy e Golden Globes e collaborazioni (Wiz Khalifa con See You Again lo ha lanciato nella stratosfera), Charlie è un musicista solido, amante del jazz, laureato alla Berklee College of Music e un geek appassionato (sa tutto di automobili), che durante l’intervista spiega i concetti accompagnandosi con pezzi suonati alla tastiera, per farti afferrare meglio il senso della sua musica. Che va a mille all’ora.
Come nasce Voicenotes?
Volevo creare un album che fosse emotivo, ma che facesse ballare. Ho iniziato a comporre i pezzi nel gennaio 2017, a casa dei miei genitori nel New Jersey, per poi ascoltarli e criticarli: faccio così da sempre. I miei amano la musica, papà mi ha fatto scoprire The Isley Brothers e mamma James Taylor. Ho anche deciso di produrre il disco, perché per me produrre è molto più importante che cantare. Chi produce passa alla storia.
E il titolo?
L’album si intitola così perchè tutte le tredici canzoni dell’album hanno qualcosa in comune, sono il risultato di tutto quello che è successo in un determinato periodo della mia vita, quando ho inziato a prestare attenzione ai suoni che mi circondavano, ho iniziato a collezionarli sul telefono per poi costruire sopra dei sound bits, trasformandoli in musica. Quando ero al college, una delle materie che fallivo sempre era teoria musicale, dove impari a mettere su carta le note che hai in testa. Non ne sono mai stato capace, ma so suonarle sul sintetizzatore e registrarle in studio.
E la collaborazione con James Taylor?
Mia madre non ci poteva credere! Per me è un mito, negli anni ’70 combinava pop e musica brasiliana, Stan Getz, João Gilberto e Jobim. Nessuno suona la chitarra come lui, uno stile unico. Trovo importantissimo lavorare sempre con musicisti che mi hanno influenzato. Con lui abbiamo registrato nei Conway Recording Studios a Melrose, dove ha creato molte sue canzoni. La prima volta che ci siamo visti mi ha detto di non sentirmi in obbligo a usarlo, se non mi fosse piaciuto come cantava! Questa è l’umiltà che voglio conservare durante il corso della mia carriera. Ho anche collaborato con Kehlani, che presto esploderà, e i Boyz II Men.
Cosa ti piacerebbe si dicesse di Voicenotes?
puth Spero che si senta la connessione profonda che ho con il jazz. Mentre incidevo il mio primo album, molte persone nel mondo musicale mi hanno sconsigliato di scrivere melodie jazz, perché i ragazzi più giovani non mi avrebbero ascoltato. In realtà ho molti fan giovanissimi, anche di 10/12 anni, che mi capiscono. Sono molto contento di poterli educare a una diversa qualità musicale, anche se magari non se ne accorgono.
Le tue prime influenze musicali?
Musica hip hop e R&B della fine anni ’90, Babyface, L.A. Reid. Gli accordi belli di quegli anni dovrebbero tornare a far parte del mondo pop, anche se tutto nasce dal jazz di John Coltrane, Bill Evans, Miles Davis, Terry Lewis. Quando ho iniziato a farmi conoscere, nessuno credeva che scrivessi io le mie canzoni, nessuno sapeva che leggevo la musica e suonavo il piano. Invece di incazzarmi ho continuato a comporre, dimostrando che sapevo farlo.
Con chi vorresti collaborare?
Queen Latifah, Naughty by Nature, Aerosmith, Dionne Warwick, e ovviamente Springsteen: ti rende partecipe, nessuno canta come lui, la sua chiave di lettura musicale si adatta a tutti i tipi di voce, non devi essere professionista per seguire le sue canzoni e sentirti bravo. Io voglio che le mie canzoni possano essere canticchiare da tutti, anche da quelli a cui non piaccio e che magari mi ascoltano quando sono nel traffico.
Longe live Charlie!