Poche ore fa è stata diffusa in rete l’autopsia di Chester Bennington, il cantante dei Linkin Park morto suicida lo scorso luglio. Il responso del medico smentisce le prime ricostruzioni giornalistiche, tutte concordi sull’assenza di tracce di alcool e droghe nel corpo del musicista. A casa di Bennington sono state trovate: una ricetta per l’Ambien e una pillola spezzata a metà, una birra Corona e una Stella Artois, insieme a un’autobiografia scritta a mano. Non è stata ritrovata nessuna lettera di addio.
«L’autopsia conferma che si tratta di suicidio per impiccagione», scrive il coroner. «È facile individuare il pattern di programmazione della sua morte». Secondo TMZ la moglie di Chester, Talinda, aveva avvertito le autorità del precedente tentativo di suicidio del marito: nel 2006 Bennington era scappato di casa, armato, dopo aver esagerato con l’alcool. Secondo Talinda il marito non prendeva antidepressivi da almeno un anno.
Mike Shinoda ha commentato la notizia specificando che, a parte i farmaci, Bennington non aveva droga nel suo corpo: «Voglio chiarire una cosa. TMZ ha scritto – sbagliando – che Chester aveva MDMA nel suo corpo. Hanno subito corretto, sì, mi auguro che facciano lo stesso anche i colleghi di altre testate».
Just clearing this up: TMZ erroneously printed CB had MDMA in his system when he passed. That was incorrect, they misread the report. They have since corrected their piece, see below. I hope other publications have the decency to do the same. pic.twitter.com/MwglKqjsOc
— Mike Shinoda (@mikeshinoda) 6 dicembre 2017
Secondo la ricostruzione di Rolling Stone USA, Bennington aveva avuto diverse difficoltà a mantenere la sua sobrietà nell’ultimo anno. Un mese prima della morte aveva detto all’amico Ryan Shuck che era sobrio da solo sei mesi. Quando Shuck gli ha raccontato che stava vivendo le stesse difficoltà, Bennington ha cominciato a scrivergli messaggi per aiutarlo.
«Mi descriveva la sua battaglia con la dipendenza ora dopo ora», ha detto il chitarrista. «Se ci penso adesso è orribile. Mi raccontava, nei minimi dettagli, cosa faceva quando aveva voglia di bere: “Affronto le mie giornate un’ora alla volta”».
Shuck sapeva che Bennington aveva bevuto prima di togliersi la vita. «Non sapevamo quanto, ma non ci voleva molto a capirlo. Era un alcolista e un tossicodipendente, e combatteva tutti i giorni con i suoi problemi. Non ci sarà voluto molto, credo, per perdere la testa».