Dalla Romagna al Salento, sono state decine gli arresti e i fermi compiuti dalla polizia per possesso e spaccio di sostanze stupefacenti nei club della Riviera Adriatica durante il weekend di ferragosto appena passato. In particolare, a far discutere sono i sei arresti avvenuti fuori dalla storica piramide del Cocoricò di Riccione, uno dei locali simbolo della club culture italiana.
È passato poco più di un anno da quando un 16enne perse la vita a causa di un’overdose provocata da un dosaggio sballato di ecstasy liquida, acquistata all’interno della discoteca da un altro ragazzo poco più grande di lui. Sembra quindi non essere bastato il rafforzamento delle misure di sicurezza fuori e dentro il locale: come riporta un’inchiesta svolta da Il Fatto Quotidiano, la proprietà del Cocoricò ha implementato controlli e sorveglianza in seguito alla chiusura per quattro mesi imposta dalla questura di Rimini lo scorso anno, come testimonia il fatto che tutti e sei gli arresti sono avvenuti grazie alla collaborazione tra le forze dell’ordine e gli uomini della sicurezza, presenti in gran numero sia all’interno che all’esterno del club. Da quest’anno è proibito l’accesso ai minorenni, così come è proibito uscire e rientrare liberamente dal locale, in modo che gli addetti alla sicurezza possano circoscrivere la ‘zona calda’ al solo Cocoricò ed evitare che nell’immenso parcheggio all’esterno avvengano scambi e acquisti sospetti tra spacciatori e chi, invece, è già entrato e in possesso del braccialetto lascia passare.
Nonostante gli sforzi e le iniziative di sensibilizzazione svolte dai proprietari, dai promoter e dagli stessi Dj – del Cocoricò così come di tantissime discoteche italiane – il fenomeno del consumo e dello spaccio resiste, e non accenna a diminuire.
Ancora una volta riaffiorano le solite questioni, se sia giusto o meno punire gestori e proprietari o se sia meglio prevenire il fenomeno piuttosto che combatterlo con controlli a tappeto. Così come riemerge l’opinione che vede la droga come un elemento centrale della club culture di cui è necessario prendere atto, per cui occorrerebbe fornire ai consumatori servizi adeguati come aree di decompressione, che rimangano aperte anche quando la musica finisce, o servizi che permettano alla clientela di far esaminare la composizione chimica delle sostanze acquistate in modo da evitare brutte sorprese o ritorni in ambulanza, così come accade già da alcuni anni in numerosi festival in Olanda e Germania.
E a chi crede che la mancanza di gestione sia un fenomeno tutto italiano, si sbaglia di grosso: basti pensare a quanto accaduto negli scorsi giorni al Fabric, il leggendario club londinese. Così come successo al Cocoricò la scorsa estate, due ragazzi appena diciottenni sono morti a causa di un’overdose dovuta a dell’MDMA acquistata all’interno del locale. Per cui, a partire da lunedì fino a data da destinarsi, il club rimarrà chiuso per permettere un regolare svolgimento delle indagini.
Proprio perché il futuro del Fabric è ancora incerto, tramite i social network moltissimi DJ hanno chiesto al sindaco di Londra Sadiq Khan di scendere in campo pubblicamente a sostegno degli ultimi baluardi rimasti della scena londinese.
Già durante la campagna elettorale, e in seguito alla chiusura dovuta a pressioni finanziare dello storico Dance Tunnel, Khan aveva più volte dichiarato come fra le sue priorità vi fosse la salvaguardia della nightlife di Londra, per cui l’intenzione era quella di introdurre nuove norme più flessibili che permettano anche ai piccoli club di sopravvivere – negli ultimi dieci anni, la metà dei locali londinesi si è vista costretta a chiudere i battenti, stando ai dati raccolti dalla Bbc, dai 3,144 del 2005 si è passati 1,733.
La risposta di Khan non si è fatta attendere, per cui il neo-sindaco ha affidato a Twitter la ferma volontà che tutti gli enti coinvolti, dalla proprietà del Fabric agli organi di polizia, collaborino fin da subito in modo che Londra non debba ancora una volta privarsi di uno dei fiori all’occhiello della sua vita notturna.