«Sono stato al Coachella un po’ di volte ormai e anche se le dimensioni dell’evento sono impressionanti, è sempre più senz’anima».
Inizia così il post in cui Reggie Watts, musicista e comedian, racconta la sua esperienza a uno dei festival più famosi al mondo che ha consumato la scorsa settimana il primo weekend, con Lady Gaga, Travis Scott, Green Day, Benson Boone, Charlie XCX e altri, e che proporrà il secondo da venerdì 18 a domenica 20 aprile.
«È un’esperienza confusa e impersonale», scrive Watts, «c’è un controllo dietro l’altro, l’enigma logico dei braccialetti, sicurezza ovunque. La maggior parte delle persone si muove come carte di credito ambulanti, passando da un’esperienza brandizzata all’altra».
«Non ha la sensazione che chi organizza il festival abbia a cuore la gente. Non c’è cura. Nessuna riverenza. Solo vibrazioni sintonizzate con la cultura degli influencer. S’intravede qualcosa di vero – un artista che mette il cuore sul palco, un’improvvisa connessione – ma sono momenti fugaci. Si perdono facilmente nel caos, sepolti sotto la logistica, le iniziative dei marchi, il prezzo eccessivo di tutto».
Oltre all’accumulo di spazzatura, la cosa si fa particolarmente triste quando esci. «Tempeste di polvere, gente che s’affanna a comprare il tuo braccialetto, la sensazione che sia una transazione economica, non un’esperienza condivisa».
Per Watts ci sono alternative migliori. «Ci sono festival indipendenti gestiti da gente che ha a cuore la musica, gli artisti, i fan, il territorio. Trattano gli artisti con cura, costruiscono situazioni in cui la comunità può mettere le radici. È lì che si trova la magia. Ecco cosa vale la pena di sostenere».
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