Con circa il 52% dei voti, il Regno Unito ha deciso di uscire dall’Unione Europea. Le problematiche legate a questa scelta non sono ancora chiare in quanto non si sa che tipo di politica economica la UE e il Regno Unito metteranno in atto d’ora in avanti nei rapporti tra di loro.
Quindi, nessuno sa rispondere con precisione alla domanda “E adesso?” che in tanti si stanno facendo.
Il mercato musicale, intanto, ha espresso i suoi dubbi. In un articolo pubblicato da Pitchfork, diversi addetti ai lavori hanno dato il loro punto di vista su alcune tematiche chiave.
Meno tour e meno concerti
Una possibilità, abbastanza concreta, è che possano servire dei visti per entrare in ogni Paese dell’Europa. Un problema che aumenta visto che le band hanno bisogno di portare con sè strumenti vari: anche questo rappresenterà un ulteriore costo, sarà necessario dichiarare ogni bene che si porta al di là del confine. Nel caso di viaggi per lavoro, come succede negli Stati Uniti, il promoter locale dovrà prendersi in carico del visto dell’artista, vale a dire un ulteriore rischio, anche se non strettamente economico. Oltre a questo potrebbe essere necessario un numero di previdenza sociale, come succede negli Stati Uniti, per ogni persona che partecipa a un tour.
Inevitabilmente, la somma di tutte queste possibilità scoraggerebbe gli artisti UK a uscire dai loro confini e comporterebbe un costo molto alto per tutti.
Come ricorda Colin Roberts, della Big Life Management, «una grande parte dei fondi PRS (Performing Right Society, che supporta la diffusione della musica live britannica) viene investito per aiutare le band a girare negli Stati Uniti. Dobbiamo arrivare al punto in cui dovranno finanziare dei tour europei?». E aggiunge, «non solo i nostri artisti faranno fatica – e i più piccoli soprattutto – ma ci perderemmo anche i live di molti nomi interessanti che potenzialmente non potranno arrivare nel Regno Unito».
Anche il resto dell’Europa, ovviamente, potrebbero soffrirne: nel 2014 il turismo musicale ha generato 3,1 miliardi di sterline. Un numero che potrebbe crollare nei prossimi anni.
La sofferenza delle label
L’Europa non solo è il maggior mercato di riferimento per le etichette britanniche, è anche un grosso aiuto per questioni di copyright e di diritti, visto che le legislazioni europee hanno snellito e migliorato la burocrazia legata a questi argomenti.
Michael McClatchey, fondatore della Moshi Moshi Records, fa notare come «compagnie come Google, Apple, Amazon, che hanno enormi risorse, a volte non hanno rispetto per il copyright. Sia a livello nazionale che internazionale, più grande è l’organizzazione che riusciamo a mettere in piedi per contrastarle, meglio è. E penso che sia più efficace far negoziare l’Unione Europea con Google che il Regno Unito».
Anche il cosiddetto Mercato Unico Digitale, un obiettivo dell’Unione Europea dall’anno scorso per migliorare i mercati virtuali e facilitare l’arrivo on-line dei cittadini europei, potrebbe essere diventato ormai un sogno per i britannici.
Vinili e copie fisiche
L’uscita dall’Unione Europea potrebbe riattivare i dazi doganali, ovvero delle tassazioni su ogni bene importato o esportato. Quindi sia i cittadini europei che comprano dischi in UK, sia quelli britannici che li comprano in Europa, potrebbero veder lievitare il costo del loro piccolo acquisto. Se sembra un problema su piccola scala, figuriamoci a livello industriale.
Non è un segreto che gran parte delle produzione di copie fisiche arrivino dall’Europa centrale, soprattutto quando si parla di vinili. E come potranno permettersi le migliaia di label indipendenti di stampare dei vinili, se i costi dovessero lievitare all’improvviso? Rupert Morrison, manager di Drift, un negozio indipendente di Devon, dice: «Il primo step è che i margini di guadagno diminuiranno ancora di più». E quindi, soprattutto per i più piccoli, rappresenterebbe un dramma.
Le grandi label, invece, punteranno sempre di più a creare copie fisiche di grandi certezze, evitando di stampare band emergenti, ma giocando sui nomi che sicuramente venderanno bene. Facendo di fatto scomparire i piccoli negozi dove trovare perle nascoste e foraggiando invece la grande distribuzione.
La questione dei fondi europei
Parlando di concorsi europei, il 46% delle application che arrivano dalla Gran Bretagna va a buon fine. Vuol dire che circa un’iniziativa su due che può potenzialmente godere dei fondi UE, effettivamente poi lo fa. E molti locali, come il Village Underground di Londra, traggono non poco vantaggio da questo. «L’anno scorso abbiamo avuto circa 20mila euro dall’iniziativa Liveurope (piattaforma europea che sostiene i giovani artisti europei, ndr)», dice Amélie Snyers, office e community manager del Village «per aver inserito oltre 30 artisti europei emergenti in line-up».
E proprio da Liveurope arriva il messaggio più forte: «Cerchiamo di incoraggiare un sentimento positivo riguardo l’Europa. La musica, la cultura, i viaggi, la scoperta: è quello che ci rende europei», dice Fabien Miclet, coordinatore della piattaforma. «Quello di cui le persone hanno bisogno, specialmente i più giovani, è condividere qualcosa di semplice e positivo. La musica può fare questo».