Alla fine di luglio Spotify ha annunciato di aver superato i 60 milioni di utenti – un aumento del 100% rispetto all’anno scorso -, una cifra impietosa rispetto ai dati pubblicati dai concorrenti. I guadagni del servizio di streaming sono arrivati a $3,8 miliardi in due anni, e gli utenti sono felici del modo in cui Spotify riesce a consigliare nuova musica: la maggior parte degli ascolti, infatti, è concentrata sulle playlist proprietarie del servizio, nuova Mecca degli artisti di tutto il mondo, ormai importante tanto quanto un passaggio in radio.
«Le etichette sono ossessionate dalle playlist», dice Ben Swanson, co-fondatore di Secretly Group, label che ha lanciato i War on Drugs. Le playlist sono la nuova radio, e le regole dell’industria discografica sono cambiate per sempre. Ecco come.
I curatori sono i nuovi gatekeepers
La playlist hip-hop più ascoltata di Spotify si chiama RapCaviar ed è curata da Tuma Basa, a capo della divisione rap dal 2015. «Lui può trasformarti in una star», dice Daniel Glass, presidente di Glassnote Records, testimone in prima persona del potere delle playlist grazie all’esplosione di Childish Gambino. La sua Redbone è diventata una hit mondiale solo dopo essere stata inserita nella lista. «Le radio inseguono il lavoro di Basa. Ormai pensano: “Se è su RapCaviar, allora la trasmetto anche io”».
Per conquistare un posto in lista i manager assumono consulenti, informatici e esperti di ogni tipo, come i ragazzi di mtheory. «Prima accumuliamo un buon numero di ascolti e di salvataggi nella libreria», spiega il vice-presidente Zack Gershen. «Poi andiamo da Spotify e gli diciamo: “Siamo abbastanza forti per avere un posto in playlist?”, a volte succede e a volte no».
Il tempismo è tutto
Gli artisti di fama mondiale, come Ed Sheeran, non hanno troppe difficoltà e finiscono in playlist quasi automaticamente. Per i più piccoli, invece, la strada è lunga e piena di difficoltà. Il DJ electro-pop Lauv ha ottenuto successo su Spotify due anni dopo la pubblicazione del suo singolo. The Other, uscita nel 2014, è entrata in playlist nel 2016 ed è subito diventata una hit.
«Ho visto il count passare da 8 milioni a 100», dice. «Mi sembra folle, ma ci ho pagato il tour». Il segreto è il timing, azzeccare il momento giusto: «Se chiediamo troppo presto un posto in lista», spiega Gershen, «rischiamo di fare un autogol. È come il surf, devi trovare l’onda giusta».
Servono gli amici giusti
Tutti, da Father John Misty a Frank Ocean, hanno la loro playlist su Spotify e la gestiscono in prima persona. Quella di Diplo, per esempio, ha più di 250,000 subscribers: nella sua selezione appaiono spesso colleghi e amici, che beneficiano (e non poco) di un posto in classifica.
«Gli artisti si parlano, si scambiano il favore», dice Cory Llewellyn, una volta executive della sezione digital di Epic Records. «Sono sicuro che nel mondo del pop accordi del genere siano ben pianificati», aggiunge Glass con un tono preoccupato. «Con il tempo la gente cercherà di manipolare questo processo, un po’ come gli agenti che cercano di strappare qualche data in più per il tour. Gli artisti e i manager si faranno la guerra per un posto in playlist».
La musica da ascensore funziona, e paga
Tra le playlist più popolari ci sono Peaceful Piano e Deep Focus, musica ambient che la gente usa per rilassarsi. I brani in lista contano decine di milioni di ascolti, numeri che riempiono le tasche di chi possiede i diritti d’autore. E in questo caso l’autore è proprio Spotify che, dal 2016, paga ai compositori una specie di stipendio per produrre musica così, composizioni che diventano però di proprietà diretta del servizio streaming.
«Non ho nessuna intenzione di confermarlo», ha detto il Chief of Content di Spotify Stefan Blom. La questione, infatti, non è così semplice come sembra: secondo alcuni Spotify commissiona le composizioni – quasi tutte registrate in Svezia, proprio vicino alla sede dell’azienda -, secondo altri si tratta solo di una percentuale sui diritti. «Questa è una faccenda sporca», dice un insider. «Non è così semplice bloccare una cosa così, tutto il processo è perfettamente sensato».
Nuove playlist, nuovo pubblico
Le playlist possono aumentare (e di parecchio) il pubblico di un artista. Sam Hunt, un cantautore country, si è esibito per Spotify nel 2014. Subito dopo il suo singolo Leave the Night On è entrato in alcune playlist. «Ho cominciato a vedere un sacco di ragazze afroamericane ai suoi concerti», dice il suo manager Brad Belanger. «Gli chiedevo: “Ma avete ascoltato il pezzo su una radio country?” e nessuna diceva di sì. Rispondevano tutte: “Spotify”».