C’è un sosia di Marilyn Manson che sta girovagando per l’Alcatraz. La band spalla ha appena terminato il set e questa figura tutta agghindata in stile Pale Emperor si muove fra le persone come un fantasma.
Tutto tronfio, armato di Mojito e sorriso a 64 denti, scambia sguardi di approvazione e sfida con gli altri sosia e fan nella penombra. Ma la competizione silenziosa — a colpi di lenti a contatto color ghiaccio e strisce blurrate di trucco nero sugli occhi — ha vita breve.
Vi sono mancato, figli di puttana?
L’Introitus: Requiem aeternam di Mozart spezza la quiete, provocando una bufera di urla e cellulari alzati. Il pubblico c’è e la matrice di tutte le copie pure. Una vita di eccessi non avrà influito al meglio sulla forma fisica, ma la ferocia di Marilyn Manson sul palco è la stessa di vent’anni fa.
La cassa gigante di Deep Six apre la strada a una serie di classici dai suoi album post-duemila. Dopo Disposable Teens e mOBSCENE, l’Imperatore Pallido si rivolge al suo pubblico con aria beffarda: «Vi sono mancato, figli di puttana?» Ovvio che sì. Vedi te, dalle nostre parti i 46enni girano in Cayenne, tormentati da crisi di mezza età.
Lui invece saltella, sputa per terra, fa ondeggiare il microfono a forma di coltello e abbraccia Twiggy (il bassista) con mosse ambigue. Insomma, fa il Marilyn Manson.
Sono frequenti le pause di decompressione fra una traccia e l’altra, ma la cosa non sembra turbare nessuno. Anzi, questi silenzi per riprendere fiato non fanno che ingrandire l’attacco delle tracce in scaletta, che prosegue con qualche piccolo omaggio. Come l’intro di chitarra di Rape Me dei Nirvana fra Sweet Dreams e Angel With The Scabbed Wings o i vocalizzi limpidi di Moonage Maydream di David Bowie prima di Lunchbox.
La sequenza Antichrist Superstar-Beautiful People-Coma White chiude la messa del Reverendo, che se ne va senza salutare né ringraziare. Non ne ha bisogno, tanto lo sa che quando tornerà in Italia saremo di nuovo lì ad aspettarlo. Tutti agghindati sotto il palco.