I primi camion sono apparsi a Tulsa a marzo 2016, tutti stracolmi di cimeli del passato di Bob Dylan. Apri uno scatolone ed ecco una bozza di Visions of Johanna scritta su carta gialla (il testo è leggermente diverso, con tanto di “nightingales” e “infinity codes”). Ne apri un altro e c’è la giacca di pelle che ha indossato sul palco del Newport Folk Festival del 1965, o la lista di accrediti di un concerto del 1974 al Madison Square Garden (Yoko Ono si è presa due biglietti; Allen Ginsberg quattro). Poi una lettera di George Harrison del 1969: “Caro Bobbie, grazie per Nashville Skyline, è davvero un bel disco. Ti voglio bene”.
Il trasporto degli oltre 6000 documenti dell’archivio di Dylan è ancora in corso: l’American Research Center del Gilcrease Museum di Tulsa ospiterà cimeli provenienti da tutti i suoi 50 anni di carriera. L’operazione è il risultato di un accordo stipulato tra il cantautore e la George Kaiser Family Foundation (si parla di una cifra tra i $15 milioni e i $20 milioni) che permetterà al materiale di essere ospitato permanentemente in Oklahoma. L’archivio sarà aperto al pubblico dopo l’inaugurazione del Dylan Museum, tra circa due anni. Alcuni studiosi del cantautore, insieme a una selezione di giornalisti, hanno avuto il privilegio di esplorarne una parte. «Il materiale è una miniera d’oro per gli studiosi di Bob Dylan, dentro c’è un mondo che nessuno pensava fosse raggiungibile», dice Clinton Heylin, autore di ben otto volumi dedicati al cantautore.
Robert Polito, il primo studioso ad avere visitato l’archivio, sta scrivendo un libro su Dylan da almeno vent’anni. L’ho incontrato in un caldo pomeriggio di giugno, era seduto di fronte a una scatola piena di materiale del periodo di Love and Theft, tra cui anche un biglietto da visita di una palestra di Santa Monica. Sul retro c’è scritto: “I’ll get as far away from myself as I can”, probabilmente una prima versione di Things Have Changed. «Per la prima volta», dice Polito, «è possibile seguire la nascita di una canzone osservando ogni singolo cambiamento, ascoltando ogni take registrata. Esplorare questo materiale è davvero incredibile e devo ammettere che l’idea di studiarlo tutto mi annebbia un po’ la vista».
Nell’archivio ci saranno anche versioni digitali di tutte le demo di ogni singolo album: gli originali saranno custoditi a New York in una camera di sicurezza. I visitatori potranno ascoltare anche registrazioni di gran parte dei concerti degli ultimi 50 anni. «Continua a venire fuori materiale nuovo, è un po’ assurdo», dice Michael Chaiken, il curatore. «Abbiamo appena ricevuto la registrazione completa del concerto al Carnegie Chapter Hall del 1967. Ce l’ha inviata il fonico: buona parte dell’esibizione è completamente inedita e noi abbiamo la registrazione originale. Credo che praticamente tutti i concerti dal 1966 a oggi siano stati registrati, alcuni dai tecnici del suono, altri direttamente dal pubblico».
Il materiale digitale sarà conservato in un server offline così da impedire ogni possibile forma di pirateria. Ci sono anche alcuni scarti delle session di John Wesley Harding, tra cui una versione molto rallentata e inquietante di As I Went Out One Morning. Per visionare i documenti – raccolti in una stanza climatizzata e controllata 24/7 da alcuni uomini della sicurezza – gli ospiti devono elencare precisamente quello che hanno intenzione di vedere. Ogni tipo di strumento di registrazione (telecamere, cellulari, macchine fotografiche) è assolutamente vietato: si possono solo prendere appunti (a mano) e tutto quello che viene diffuso è contrassegnato da un watermark.
Michael Chaiken ha già curato gli archivi dei fratelli Maysles e di D.A. Pennebaker. Proprio lavorando con Pennebaker ha scoperto alcuni scarti del documentario Don’t Look Back (dedicato proprio a Dylan): da qui ha iniziato la collaborazione che l’ha portato fino a qui. Proprio Chaiken mi ha raccontato l’origine di tutta l’operazione: «Se vuoi lasciare un qualche tipo di eredità, allora è normale desiderare che tutto il materiale che hai raccolto finisca in un singolo spazio, un luogo facile da raggiungere per tutte le generazioni future».
I turisti, i curiosi e gli appassionati, però, dovranno aspettare, la Kaiser Foundation sta ancora lavorando alla progettazione del museo. Al momento sappiamo solo che sarà vicino al Woody Guthrie Center: «Vorrei che il Dylan Museum diventasse un centro attivo, una calamita per tutti gli appassionati di musica del mondo», ha detto Ken Levit, Executive Director della fondazione.
Le sorprese più grandi, comunque, sono tutte nascoste nella collezione video: gli scarti di Don’t Look Back, ore e ore di girato raccolto durante il tour del 1966 e alcune scene di Renaldo e Clara dirette dallo stesso Dylan durante il Rolling Thunder Revue Tour. Ci sono persino video del cantautore registrati durante l’incisione di New Morning e altri che lo ritraggono insieme agli amici della Band, naturalmente nel periodo delle Basement Tapes.
Siamo riusciti a esplorare 15 scatoloni pieni di materiale davvero notevole: l’intero contenuto del portafoglio di Dylan (nel 1966), con tanto di biglietto da visita di Otis Redding e indirizzo di Lenny Bruce; alcuni testi scritti nel 1965 ci hanno fatto scoprire che il titolo originale di Just Like Tom Thumb’s Blues era Just Like Juarez persino l’inizio di una canzone d’amore scritta per Mavis Staples, nascosta sul retro di una bozza di Subterranean Homesick Blues: “Down in Chicago there lives a queen / She sings the blues, if you know what i mean / Ah, Mavis / I dream she’s singing in my sleep / But worse, I wake up thinking that I’m in church”.
I testi scritti tra il 1960 e il 1980 sono tutti battuti a macchina, mentre i più recenti sono scritti a mano. La bozza di High Water è un delirio di correzioni, inchiostro blu e cancellature. «Dall’archivio viene fuori un Dylan incredibilmente meticoloso», dice Polito. «Un artista che ha sempre lavorato duro, che corregge il suo lavoro con grande attenzione e che non dimentica mai una buona idea».
Heylin non ha ancora visitato il centro, ma dovrebbe farlo a novembre, più o meno nello stesso periodo in cui uscirà il suo libro dedicato al periodo gospel. «Mi piacerebbe scoprire qualcosa di più sul suo metodo di scrittura, soprattutto durante gli anni della maturità», racconta l’autore. «Pensa a Street Legal. Ha scritto quel disco in un momento di forte consapevolezza, in quelle canzoni ci sono momenti di grande poesia. Certo, l’album non è bello come Blonde on Blonde, ma i testi sono insuperabili. Sarebbe affascinante studiare le bozze di quel periodo».
Ci vorranno anni per studiare tutto il materiale raccolto nell’archivio, ma l’operazione potrebbe cambiare il modo in cui vediamo uno dei più grandi cantautori della storia della musica. «Penso che verranno scritti parecchi libri sul materiale raccolto qui», dice Polito. Heylin è d’accordo: «Con Dylan è così, le cose più interessanti sono nascoste molto in profondità», dice. «E adesso c’è parecchio da scavare».