Non è la prima volta che discipline così apparentemente distanti come Scienza e Musica finiscono per attrarsi. Si pensi a Squarepusher e al suo EP Music for Robots, dove il musicista britannico collaborò con un team di ingegneria robotica giapponese scrivendo uno spartito eseguito da un ensemble di robot denominato Z-Robot, o alle ricerche del celebre neuro-scienziato Oliver Sacks che nella sua opera più famosa, Musicofilia, indagò sul complesso rapporto che lega la musica ad alcune aree del cervello. Ed è seguendo le ricerche neuro-scientifiche volte a far luce sul misterioso rapporto fra la mente umana e le sue capacità creative, che Sting ha deciso di prestarsi come ‘cavia’ a un esperimento condotto dal neurologo Daniel Levitin, professore della McGill University di Montreal.
Trovandosi a Montreal per un concerto, l’ex-Police ha deciso di cogliere l’occasione per incontrare il professor Levitin – di cui Sting aveva appena finto di leggere il saggio This Is Your Brain In Music – che, da parte sua, non ha perso tempo davanti alla possibilità di chiedere a uno dei più estrosi musicisti pop di sottoporsi a una sessione di Neuroimaging funzionale, una tecnica condotta utilizzando la risonanza magnetica in modo da analizzare la relazione che sussiste tra l’attività di specifiche aree del cervello e alcuni particolari stimoli cui il cervello viene sottoposto; in parole povere, grazie a questa tecnica, è possibile vedere quali particolari zone del nostro cervello si attivano se proviamo paura, oppure se invece ridiamo, o come il cervello ‘lavora’ durante un amplesso o al cospetto di un’opera d’arte e così via.
L’esperimento, pubblicato dalla rivista accademica Neurocase, intendeva vedere attraverso la risonanza come reagisce il cervello di un musicista esperto – “un uomo destrimano di 55 anni senza una storia di disturbi neurologici”, così come viene ‘classificato’ Sting nell’articolo – se sottoposto all’ascolto di generi musicali diversi fra loro.
Il team di ricercatori del Montreal Neurological Institute, capitanati da Levitin e dal neuro-scienziato Scott Grafton della University of California, ha chiesto a Sting di immaginare una serie di attività creative – scrivere un discorso, dipingere un quadro e comporre musica – mentre la macchina della risonanza magnetica funzionale cominciava il suo lavoro di scannerizzazione cerebrale.
In seguito, è stato chiesto al musicista di ascoltare canzoni prese dai più svariati generi, da …Baby One More Time di Britney alle composizioni tango di Yo-Yo Ma; esaminando poi gli schemi di attività cerebrale risultanti dalle scannerizzazioni, è poi stato possibile per Levitin e soci vedere quali aree del cervello di Sting si attivano e come ‘metabolizzano’ i differenti generi musicali, notando ad esempio come la materia grigia del frontman reagisca in maniera diversa a seconda che ascolti reggae o musica classica.
Inoltre Levitin e Grafton hanno notato come il cervello di Sting riesca quasi a ‘immaginare’ il suono dato che, durante l’ascolto, si attivavano aree cerebrali comunemente utilizzate per compiti creativi più rappresentazionali, come la pittura o la scrittura. Soprattutto è stato possibile scoprire come il cervello di un musicista navigato si differenzi grazie alla capacità immediata di riconoscere connessioni fra brani totalmente diversi all’orecchio di un profano; per cui il cervello di Sting reagiva in modi molto simili all’ascolto di Libertango di Astor Piazzolla e Girl dei Beatles (entrambi i brani sono in tonalità minori e utilizzano passaggi melodici simili) o con la sua Moon over Bourbon Street e Green Onions di Booker T. & the MG’s – ambedue i brani sono in tonalità di Fa minore, con un ritmo swing a 132 bpm.
«Una grossa fetta dell’arte e dell’abilità di un musicista consiste nel saper collegare un’intera vita fatta di esperienze d’ascolto – ha detto Levitin – anche io sono un musicista (suona la chitarre, nda) e davanti a professionisti come Sting penso sempre sia impossibile per me fare quello che lui ha fatto con la musica». Questo tipo di esperimenti, ha continuato Levitin «può aiutare a comprendere come il cervello di un musicista professionista ‘pensa’ la propria arte, come un atleta i propri movimenti, o come un pittore intende il colore e le forme».