Rolling Stone Italia

Cosmo a difesa dei rave: «Non sono inferni popolati da zombie»

Alla fine, a metterci la faccia, è stato lui. Ospite su Rai 2, l'artista ha parlato di free party e droghe: «Una società che non è morta del tutto deve esercitare, verso questi fenomeni, apertura e tolleranza, perché l’alternativa si chiama stato di polizia o, peggio ancora, totalitarismo»

Foto: Chiara Lombardi

Alla fine, a metterci la faccia sulla questione rave è stato lui, Cosmo. Ospite a Che c’è di nuovo, su Rai 2, il musicista eporediese non si è presentato con il suo nome d’artista, ma come «Marco, un uomo di 40 anni, sposato, padre di tre figli», ad evidenziare, fin da subito all’interno del suo monologo, la normalità delle persone che vivono le feste (legali e non).

«Ogni tanto ho bisogno di vivere il mio tempo fuori dall’ordinario» ha esordito l’artista, «non so se ve ne siete resi conto, ma la nostra socialità è sempre meno libera: la società del controllo è un incubo». Alla società del controllo Cosmo ha così contrapposto l’ideale del rave, o meglio, dei free party, «contesti gratuiti, liberi, in cui c’è un senso di solidarietà e fiducia reciproca tra i partecipanti che raramente si trova al di fuori, in cui c’è anche un’etica di fondo per cui tutti i partecipanti sono responsabili di quello che succede».

La critica di Cosmo non ha risparmiato fazioni politiche, puntando il dito su giornalisti e politici di destra e sinistra, definiti «spesso ignoranti in materia», intrappolati a raccontare all’opinione pubblica «la solita balla: che i rave sono una specie di inferno popolato da zombie». «Io non sono uno zombie», ha continuato, «ai rave c’è gente che lavoro e studia e che ha una vita normale nella maggior parte dei casi. Sono persone che ogni tanto hanno bisogno di re-impossessarsi del proprio tempo e del proprio corpo in totale libertà».

«Per molti il rave è uno stile di vita, per molti altri è un atto politico, di dissidenza politica. Questo tipo di raduni, pacifici, senza armi e senza scopo di lucro, sono protetti dalla nostra Costituzione con l’art.17» ha puntualizzato Cosmo, aggiungendo: «Proibizionismo e repressione non hanno mai funzionato».

Nella seconda parte del suo monologo (sul suo profilo Instagram Cosmo ha ringraziato Vanni Santoni, Emiliano Colasanti, Damir Ivic e Enrico Petrelli per averlo aiutato a raccogliere le idee sul tema), si è invece parlato di droghe. «Le sostante stupefacenti sono ovunque nella nostra società, sono endemiche. Sono presenti nei locali frequentati dai vip e dai nostri politici, e magari sono presenti anche nei bagni del nostro parlamento, chi lo sa» ha detto l’artista portandosi un dito al naso e mimando provocatoriamente il gesto del pippare la cocaina.

«Dopo decenni possiamo dirlo, questo è sicuro, la guerra alla droga ha fallito, è stato un disastro. È ora di prenderne atto, cambiare approccio ed essere più pragmatici riducendo al minimo il rischio, educando le persone senza ipocrisie». L’esempio virtuoso portato dal cantante è stato quello dei volontari per la riduzione del danno presenti ai free party che aiutano a dare informazioni e a sviluppare conoscenza sul tema, oltre che a garantire un consumo sicuro e consapevole.

La conclusione dell’intervento di Cosmo, invece, ha dato voce alla preoccupazione, sempre più diffusa, di una deriva della nostra società verso uno stato di polizia: «La criminalizzazione di chi invade questi eco-mostri che sono rifiuti di cemento che qualcuno ha abbandonato a deturpare i paesaggi è quantomeno ridicola, se non fosse per il preoccupante sintomo di un’ossessione per l’ordine, disciplina e regole che non si confanno ad una società che vuole essere moderna, aperta, pluralista. Esistono culture, sottoculture e valori che non riescono ad esprimersi e non riescono ad essere riconosciuti nel nostro sistema giuridico. Potremmo pensare di sopprimerle, probabilmente con dei campi di concentramento – ma i rave non si fermeranno, è un fenomeno che esiste, è un fenomeno culturale. Una società che non è morta del tutto deve esercitare, verso questi fenomeni, apertura e tolleranza, perché l’alternativa si chiama stato di polizia o, peggio ancora, totalitarismo».

Iscriviti