Per Courtney Love «non solo puzza di sessismo, ma anche d’ignoranza e ostilità» per le donne, mentre per Chrissie Hynde, leader dei Pretenders, è «una cazzata che non ha assolutamente niente a che fare col rock‘n’roll». Con queste parole le due artiste si sono riferite negli ultimi giorni alla Rock and Roll Hall of Fame, ovvero l’istituzione che celebra i grandi nomi della storia della musica.
In un op-ed scritto per il Guardian, Love ha fatto notare come, di tutti gli artisti introdotti nella Hall of Fame, solo l’8,48% è donna, aggiungendo che chi vota «tra musicisti e addetti al lavori, è per il 90% di sesso maschile». Rispetto al trend generale, però, nei nominati per il 2023 sono presenti una serie di musiciste come Kate Bush, Missy Elliott, Sheryl Crow, Cyndi Lauper, Meg White (coi White Stripes) e Gillian Gilbert dei New Order. Per Love, però, «le nomination di quest’anno ci ricordano quanto una donna debba essere straordinariamente brava per entrare in questo club maschile».
Love cita il caso Kate Bush, che dal 2018 è eleggibile per la Hall of Fame ma che ancora oggi non è entrata a farne parte: «Non importa sia stata la prima donna nella storia del pop a scrivere tutti i brani di un album d’esordio capace di vendere milioni di copie, una pioniera dei sintetizzatori e dei video musicali, riscoperta da una nuova generazione grazie a Running Up That Hill (A Deal With God) presente nella serie Stranger Things. E non importa che stia scrivendo musica ancora oggi: nemmeno così è certa di entrare nella Hall of Fame».
La cantante delle Hole ha voluto poi puntare il dito su alcuni errori della Rock Hall: «Ci hanno messo più di trent’anni per accettare Nina Simone e Carole King. Linda Ronstadt ha pubblicato il suo album di debutto nel 1969, è stata la prima donna a far concerti negli stadi, eppure è entrata nella Hall of Fame solo nel 2014 con i Nirvana. Tina Tuner è stata introdotta come artista solista tre decenni dopo Ike Turner, che ha abusato di lei». E ancora su Chaka Khan: «I suoi Grammy, la sua longevità, la sua arte e la sua tenacia nel sopravvivere come giovane donna nera negli anni ’70 non meritano d’essere celebrati. O almeno così sostiene la Rock Hall».
«Se non capisce che sta replicando la violenza del sessismo e del razzismo sistemici che le artiste affrontano nell’industria musicale, se non riesce a celebrare le creazioni, le innovazioni, le rivoluzioni, i contributi dati al pop da parte delle artiste visionarie, beh, la Rock Hall può anche andarsene al diavolo».
Della stessa idea è Hynde, che fa parte della Rock Hall dal 2005 con i Pretenders. In un post su Facebook ha ribadito la sua posizione: «Non voglio esserci associata. È più una pacca sulla spalla che l’establishment ti dà». E poi, ricordando l’anno in cui sono entrati i Pretenders: «Tolta la partecipazione di Neil Young, è stata tutta ed è ancora una cazzata. Non c’entra niente col rock’n’roll e chi lo pensa è pazzo».