Dargen D’Amico ha appena pubblicato il suo D’io, un album che lo racconta a tutto tondo, dove il suo fraseggio e la sua musica sono una sorta di campionario dei lavori precedenti, ma con un notevole ammodernamento, lo abbiamo incontrato e gli abbiamo chiesto come è andata la gestazione del lavoro.
«Per la prima volta ho ripreso in mano i miei lavori vecchi, che non avevo più riascoltato, ho cercato di capire che cazzo avessi fatto. Ho cercato di liberare quelle cose da tutto quello che c’era di superfluo, entrando in una dimensione diversa, ricercando l’essenziale (se vogliamo dire una cazzata). Nella realtà dei fatti, per fare questo disco, per scriverlo, ho iniziato a febbraio 2014 e a fine aprile ero in studio a registrare, cioè, in due mesi alla fine ho fatto tutto, è venuto fuori in totale libertà e scioltezza».
Quello che colpisce nell’album è la spontaneità con cui scorrono i pezzi, senza però perdere il tratto riflessivo.
«Ho avuto anche la fortuna di trovare delle produzioni musicali che mi hanno stimolato durante la lavorazione del disco, adatte a quello che volevo dire. Ho trovato anche due ragazzi giovani, come Lorenzo Buso (ha lavorato a Las Vegas Honey Moon), che ha 21 anni, e Alessio Buso (La Lobby dei Semafori); due fratelli esordienti, che non avevano mai fatto nulla di concreto, grosso e professionale, nell’ambito di questo tipo di musica. Nel momento in cui ero a livello di sopportazione zero per un certo tipo di musica, con la cassa dritta, volevo inserire comunque un brano che avesse quel tiro, ma attualizzato ai giorni nostri. Così è nata La Lobby dei Semafori che è esattamente quello che in cuor mio intendevo fare!».
L’impatto dell’album è acuito anche da una scelta grafica molto precisa nel confezionamento.
«La copertina è stata una guerra! Non piaceva a nessuno. Qualcuno l’ha trovata controproducente, perché senza nomi, senza titolo, ne viene meno la riconoscibilità. Per me invece è una metafora perfetta del disco, ci sono io che creo e quello che viene fuori è un essere che non si sa bene cosa sia, che è la somma di tante cose… Io lo guardo un po’ con schifo, un po’ con ammirazione».
L’aforisma dà una risposta che in fondo è anche una domanda.
Se il rap italiano a metà degli anni 2000 ha sviluppato una comunicazione ‘a slogan’ soprattutto nei titoli o nei ritornelli Dargen tu ti sei fatto le ossa creando aforismi.
«Una delle mie più grosse ispirazioni è l’effetto dell’aforisma, leggi una frase, e anche se inizialmente non avevi ben chiaro che ti volesse dire, non ti chiederesti mai che ti dice la frase. Vorrei che una mia canzone funzionasse allo stesso modo, anche se all’inizio produce solo un corto circuito. Trovo che l’aforisma sia una delle cose più riuscite dell’umanità, dare una risposta che in fondo è anche una domanda, è qualcosa che tieni con te per il futuro».
Il video di “La Mia Generazione”:
Sei riuscito, negli anni, a fidelizzare la maggior parte dei tuoi fan che ti seguono e ti sono molto vicini.
«Io sono molto fortunato, perché ho avuto uno zoccolo duro di fan, c’è sempre stato, fin dall’inizio, con costanza. Mi ha permesso di andare avanti, di passare ad una fase successiva del mio lavoro. Qualsiasi cosa facessi era sempre disposto a sostenermi, perché c’è quasi un rapporto di condivisione, di amicizia. Sono felice di avere fatto un percorso con queste persone. D’altra parte ho sempre preso delle posizioni nuove nel mio lavoro, indipendentemente dal pensiero degli altri. La personalità artistica si concretizza nel tempo, si tende ad empatizzare con persone che hanno la stessa sensibilità. Anche se ad altri può fare schifo».
In D’io c’è un pezzo, Amo Milano, dedicato alla tua città.
«Milano è la mia grande ispirazione, nelle sue peculiarità, in positivo o negativo, ritrovo gli aspetti di altre città in giro per il mondo… I palazzoni di Baggio hanno in piccolo alcune cose dei palazzoni di Bombay… La nebbia ad esempio, fa scaturire l’immaginazione. È la traduzione in vapore acqueo della capacità di immaginare… Insomma… Sono andato a scuola sui banchi di nebbia!».