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Dave Grohl, il nuovo “racconto della pandemia” è dedicato a David Bowie

Nell’ultimo episodio della sua serie di storie da isolamento, il frontman ha raccontato l’amore per la musica del Duca, i momenti passati insieme e quella volta che l’ha mandato a farsi fottere

“‘Bene, allora è deciso. Ora vai a farti fottere’. Paralizzato sulla poltrona del salotto, guardavo lo schermo del portatile con orrore e il voltastomaco. Le dita tremavano sopra la fredda tastiera, mentre leggevo e rileggevo quelle due frasi pregando che fosse un qualche typo, un crudele disastro dell’autocorrettore. Ma non c’erano errori. David Bowie mi aveva appena mandato a fare in culo”. Inizia così l’ultimo episodio del “progetto da isolamento” di Dave Grohl, una pagina Instagram in cui il frontman dei Foo Fighters condivide alcuni momenti della sua vita.

Questa volta, l’avrete capito, si parla di David Bowie e di una collaborazione che non è mai diventata realtà. “Credetemi, non era la prima volta che le mie orecchie malconce ascoltavano un linguaggio così colorito, ma dal Duca Bianco in persona? Cosa avevo fatto per scatenare una reazione del genere? È qualcosa che ho detto?”, continua Grohl.

“Come molti musicisti rock, David Bowie è sempre stato un elemento indelebile della colonna sonora della mia vita, ed è stato così da quando ero un ragazzo. David Live, il suo primo live album, era sempre nello stereo del salotto della casa in cui abitavo da bambino, e Suffragette City era una hit nelle feste di quartiere dove suonavo con la mia band di nerd negli anni ’80. […] Ma l’album che mi ha davvero reato il cuore, e so che verrò messo alla berlina dai fan più hardcore di Bowie, è il capolavoro del 1983 Let’s Dance. Non importa quanto voglia far finta di amare la sua fase berlinese, più scura e profonda, l’unica cosa che volevo fare era fare il ballo di Molly Ringwald ogni giorno per otto ore al giorno (scusa Pitchfork!)”.

Grohl continua ricordando tutte le volte in cui ha incrociato la strada del Duca: la cover di The Man Who Sold the World per l’Unplugged dei Nirvana del 1994, il festival europeo in cui hanno suonato sullo stesso palco – “Era la prima volta che vedevo dal vivo la sua grazia e il suo potere, e ho avuto una rivelazione: non è il volume, o l luci, o il numero di strumenti sul palco che trasformano un festival in qualcosa di magico. No, è l’essere umano sul palco” –, il concerto per il suo 50esimo compleanno al Madison Square Garden, la collaborazione per il disco solista di Reeves Gabrels.

Il racconto arriva al 2013, subito dopo l’uscita di The Next Day. Grohl riceve la proposta per scrivere una canzone per un film “dal grosso budget”. L’idea era di registrare la parte strumentale e far cantare tutto a un altro artista: Bowie. Grohl contatta Tony Visconti e chiede se si può fare, e il produttore gli dice che ci sono buone possibilità. “Non avevo grandi speranze, credetemi, ma ho mandato la demo. Tony mi ha detto che David mi avrebbe contattato dopo averla ascoltata. Giorni. Settimane. Dopo quella che mi sembrava un’eternità, ho finalmente ricevuto una risposta. Un giorno ho casualmente aperto la mia mail e ho letteralmente soffocato quando ho visto il suo nome. Aveva sentito il pezzo! E in più: DAVID BOWIE SCRIVE MAIL! Con l’eccitazione di un bambino iperattivo la mattina di Natale, ho trattenuto il respiro e l’ho aperta. Se non ricordo male diceva più o meno così:

‘Caro David,
No,
Con affetto, David’

Scherzo! È stato molto gentile, come sempre. Mi ha spiegato che quel genere di film non gli interessava molto (‘Non sono fatto per questi tempi’, ha scritto), ma che gli sarebbe piaciuto collaborare a qualcos’altro in futuro”. Felice come un ragazzino, Grohl ha subito risposto: “Grazie per aver sentito la canzone, spero che vada tutto bene, e fammi sapere se un giorno vorrai fare musica insieme”. Questa volta Bowie non si è fatto attendere.

“‘Bene, allora è deciso. Ora vai a farti fottere’. Non sapevo se mi stesse dicendo davvero di mangiare merda e morire o se quello fosse un altro assurdo esempio del suo sarcasmo, ma ho pensato di rispondere subito con qualcosa, qualsiasi cosa, per capire se stessi davvero vivendo il peggiore incubo della mia vita. ‘Ci vediamo tra 17 anni!’ era il meglio che fossi riuscito a pensare. Ho schiacciato invio. ‘Non se ti vedo prima io!’, ha subito risposto. ‘Come, non festeggerai più il compleanno al Madison Square Garden?’. ‘Niente più compleanni, li ho finiti’. Ok, forse era solo un test. Provo con un po’ di umorismo: ‘Beh, sei più che benvenuto al mio 50esimo compleanno al Madison Square Garden. Sarò il tipo che vende gli hot dog nella strada di fronte’, ho scritto. Ha risposto: ‘Aspetta, tu non hai 50 anni! Nessuno ha più 50 anni… ma quella è stata una bella serata, no?’. La sensazione di sollievo mi ha pulito come un glorioso battesimo”.

Il racconto si conclude con gli ultimi giorni del Duca e l’uscita di Blackstar. “Ho ripensato ai momenti passati insieme con grande affetto e tristezza. Soprattutto a quell’ultimo scambio. Mi ha spezzato il cuore rileggere: ‘Niente più compleanni, li ho finiti’. Forse sapeva qualcosa che noi non sapevamo. E siccome era un vero gentiluomo, non voleva soffrissimo con lui. In ogni caso, fa ancora male”.

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