Il leader dei Foo Fighters ha un’idea chiara di quanto la musica vada pagata (una polemica scatenata dall’addio a Spotify di Taylor Swift): «Per quanto mi riguarda, personalmente, non me ne frega un cazzo», ha detto agli inglesi di Digital Spy, «Ma forse è una cosa che riguarda solo me, visto che suonerò per due volte a Wembley la prossima estate».
Per Dave Grohl, la questione è semplice: «Vuoi che la gente senta la tua musica? Dagliela. E poi va a suonare in concerto. Se la tua musica gli piacerà, fidati, verranno a vederti dal vivo». Non c’è nessuna novità rispetto a quando era il batterista dei Nirvana: «Potrà sembrare semplice, ma con noi andata così: eravamo una band giovane molto rumorosa, senza opportunità di carriera, ci piaceva solo suonare e alla gente piaceva guardarci. Consegna rapida, personale, dal produttore al consumatore».
A Grohl, che ha fatto un album che è anche serie tv per celebrare i 20 anni dei Foo Fighters, non entusiasma il dibattito sulle nuove tecnologie di fruizione musicale: «Non ha alcuna importanza. Io voglio che la gente possa sentire la mia musica, perciò non me ne frega niente se la pagano un dollaro o 20, l’importante è che possano sentire quella fottuta canzone. Ma capisco per qualcuno questo ragionamento possa risultare opinabile».