“David Bowie is” non è una mostra di memorabilia, anche se sono esposti più di 300 oggetti tra costumi, canzoni autografe, costumi di scena, i suoi dischi preferiti, gli schizzi del palco, selezionati dai curatori Victoria Broackes e Geoffrey Marsh del V&A Museum di Londra.
Quella che ha aperto ufficialmente oggi, 14 luglio e andrà avanti fino al 13 novembre, al MAMbo di Bologna, dopo aver collezionato più di 1 milione e mezzo di visitatori da 3 anni a questa parte, quando ha inaugurato per la prima volta a Londra ed è poi passata per Chicago, San Paolo, Toronto, Parigi, Berlino, Melbourne e Groningen, è un’esperienza. E senza voler per forza cercare toni enfatici ma è davvero una ricerca delle fonti che hanno ispirato il genio di David Robert Jones, senza rispettare una rigida divisione cronologica.
E non risponde (o non completa) la frase contenuta nel titolo della mostra: “David Bowie is”. Che cosa era e chi era David Bowie? Era uno sceneggiatore, costumista, scrittore, attore, regista. Non voleva essere un cantante, almeno nelle sue intenzioni iniziali. NON era David Jones come riassume una scritta gigante posta all’ingresso della prima sala. Cercava di essere sempre diverso dagli altri, più avanti, anche e soprattutto rispetto a sé.
Per fortuna dei fan, Bowie era un gran precisino nel suo collezionare qualsiasi cosa. I curatori hanno potuto cercare tra migliaia e migliaia di oggetti e hanno messo in piedi un tour virtuale che si materializza letteralmente nella stanza finale, dedicata proprio agli ultimi concerti di Bowie. Una serie di schermi e video, costumi originali di scena, fanno vivere allo spettatore, che nel frattempo può starsene pure seduto sui divanetti, un vero e proprio live.
Il tour parte dalla fine degli anni ’60 e accompagna nel teatro giapponese kabuki e in quello di Brecht, nei mimi avanguardisti e nei musical del West-End a Londra. E si concentra su tutto ciò che nel 1969 ispirò Space Oddity e il personaggio del Major Tom, prima di tutto 2001: Odissea nello spazio di Kubrick che Bowie raccontò di aver visto centinaia e centinaia di volte.
La seconda parte è il trionfo degli abiti di scena (prima di tutto l’outfit di Ziggy Stardust disegnato nel 1972 da Freddie Burretti), dei video (The Man Who Fell to Earth o Boys Keep Swinging) degli arredi di scena come quelli creati apposta per il Diamond Dogs tour (1974). Con una sala specifica per Berlino e la sua trilogia, con foto anche dell’amico Iggy Pop.
Un tour virtuale che dimostra le influenze su Bowie e di Bowie, che bisogna fare – per forza – con indosso le cuffiette. Non scordatele, non fate gli snob che preferiscono senza: la musica giusta al momento giusto vi accompagna nel vostro giro senza bisogno di stare a controllare il display.