Da Vorrei Ma Non Posto di Fedez e J-Ax fino a Pamplona di Fabri Fibra, da Fenomenale di Gianna Nannini fino a Ogni Istante di Elisa: sono solo alcune delle hit spacca classifica scritte da Davide Petrella, l’uomo che si cela dietro quasi tutti i grandi artisti della scena italiana, la penna da cui nascono gli album più celebrati degli ultimi anni.
E se per chi conosce già il suo stile di scrittura non è una sorpresa che Petrella si sia affermato come uno fra gli autori più ambiti in Italia, con i suoi primi singoli da solista – Einstein e Skyline – Davide ha finalmente deciso di metterci la faccia, di tornarsi a prendere quei riflettori da cui sembrava nascondersi, mettendo davanti le sue canzoni e gli artisti che le cantavano. E non è un caso, infatti, che ora il suo nome sia stato selezionato fra i sedici finalisti delle nuove proposte per Sanremo 2018.
Tuttavia, è proprio la sua storia che merita di essere raccontata. Lui, che prima della nascita di Facebook e Instagram è stato uno fra i primi ad essere uscito da un social network. Lui che forse prima di altri aveva capito il potenziale dei social network, attirando le attenzioni su di sé prima ancora di aver registrato le canzoni, tanto da solleticare la curiosità di un artista come Cesare Cremonini, di cui è diventato il braccio destro da anni.
Basta scorrere i crediti degli ultimi due album dell’artista bolognese (Logico e Possibili Scenari) per trovare il suo nome in quasi tutte le canzoni, da GreyGoose e Io e Anna fino a Poetica, il primo estratto dall’ultimo lavoro di Cremonini.
E dire che tutto era partito da Myspace e da una frase, “Chi Cazzo Sono Le Strisce”, con cui Davide bombardava le pagine degli artisti e degli addetti ai lavori, sperando di essere notato.
La tua carriera inizia con la band Le Strisce, forse il primo esempio in Italia di un progetto musicale uscito da un social network
All’epoca non era ancora una pratica diffusa, sfruttammo Myspace perché era la prima volta in cui qualunque ragazzino poteva avere un megafono gratuito con cui far sentire la propria musica. Per me, così ambizioso di scrivere canzoni, fu un crash immediato, “adesso devo rompere i coglioni a tutti e far conoscere la mia musica”. Cominciai a punzecchiare artisti e addetti ai lavori, ancor prima di aver registrato le demo, i miei brani piacquero e da lì cominciò tutto.
Ora è tutto diverso, ci sono strategie precise per farsi notare sui social, non c’è più la stessa ‘magia’ di allora, quando era anarchia pura. Io non potevo sapere che dietro i profili degli artisti spesso ci fossero davvero loro, che ‘rompendo i coglioni’ avrei fatto conoscere le mie canzoni. Così, ad esempio, è successo con Cesare Cremonini.
Lui è stato il primo con cui hai iniziato a collaborare come autore
Cesare ascoltò una canzone de Le Strisce, Fare Il Cantante, ci scrisse su Myspace e ci venne a trovare in studio di registrazione. Con lui è nato tutto molto spontaneamente: diventammo amici prima che collaboratori, e questo è un fattore che è stato decisivo per il lavoro che stiamo facendo insieme. Tra noi c’è una magia, ormai abbiamo un nostro metodo e un nostro stile di scrittura, che è presente anche nell’ultimo album.
Lui è stata la prima persona che creduto in me quando con Le Strisce non riuscivo a ‘tirare fuori il coniglio dal cilindro’: a un certo punto è arrivato Cesare e mi ha permesso di accendere la luce su quello che facevo, per questo io gli sono enormemente debitore.
Sai partito da niente con una band, creando da solo la tua carriera. Cosa si prova a vedere che le canzoni che scrivi sono sempre ai primi posti delle classifiche?
Tutte le volte è una scommessa, e mi sorprende sempre. Ti faccio un esempio: quando ho scritto Pamplona sapevo che era un brano che poteva spaccare, ma mi era stato detto che Fibra non aveva mai raggiunto la prima posizione fra i brani più trasmessi in radio. Quando ho saputo che con Pamplona ci era finalmente riuscito ero pieno di orgoglio, perché non è mai scontato che una canzone diventi una hit.
Non esiste una formula matematica, per me l’unica regola è scrivere con l’artista e non per l’artista. Quando lavoro con Cesare, Fibra, Gianna Nannini o Elisa, la prima cosa che faccio è cercare di capire la scintilla che hanno dentro, scrivere di quella scintilla. Solo così potranno credere davvero in quello che cantano, sentirlo nel profondo e arrivare alla gente con le mie parole.
E quando invece scrivi per te? Come cambia il tuo lavoro?
Quando creo per me ci sono solo io e voglio prendermi tutte le libertà possibili. Ho sempre il bisogno di sperimentare e quando scrivo per me posso divertirmi con la musica, senza limiti. Nelle mie canzoni ovviamente porto dentro tutti gli anni passati a collaborare con i grandi artisti italiani, ma non avrei mai pensato che un brano come Skyline, così lontano dalle ‘regole del pop’ e con un testo che affianca Zuckerberg a Oppenheimer potesse venir passato nelle principali radio italiane.
Sia in Einstein che in Skyline, i tuoi primi due singoli, il testo ha una parte centrale. Cosa ne pensi di un genere come la trap, in cui le parole sembrano quasi ‘accessorie’?
Trovo sia un genere molto interessante, però è vero, nella trap il testo è un accessorio. Conta l’attitudine, la base, quanto riesci a copiare le metriche di Young Thug o Kendrick Lamar. I testi non dicono niente ma se ai ragazzini piace allora va bene così, si vede che il pubblico di oggi è più vuoto di quanto lo eravamo noi. il contenuto oggi non interessa quasi più, conta solo l’aspetto, e questo fa riflettere.
Per quanto mi riguarda a me non interessa avere più follower possibili, io mi riterrò soddisfatto solo quando riuscirò a scrivere un’altra Volare. Oggi per molti artisti sembra contare di più il numero di visualizzazioni che la musica: cambiatevi nome, chiamatevi youtuber o fashion blogger, ma la musica è arte, deve dire qualcosa, non la si può svilire nel numero dei follower.
Parlando di progetti nati su YouTube, da napoletano, cosa ne pensi di Liberato?
L’operazione Liberato è stata una bomba, dall’immagine alla produzione che mi ricorda artisti internazionali come Mura Masa. Da napoletano poi non posso essere che contento, che ci sia un artista della mia città che riesce a uscire dai confini di Napoli. Il ‘problema’ della musica napoletana ha due facce; da una parte sono canzoni spesso troppo radicate nel cuore dei napoletani, dall’altra parte in Italia spesso c’è dello snobismo. Ascoltiamo musica inglese, francese, tutte le estati c’è una canzone di Enrique Iglesias che ci scassa le palle e non possiamo ascoltare una canzone in napoletano? È un linguaggio come un altro e secondo me così dovrebbe essere inteso. Io non ho mai cantato in dialetto, ma Napoli è sempre una parte fondamentale delle mie canzoni. Sono convinto che se non fossi nato e cresciuto in quella città non scriverei come faccio ora, non farei questa vita da soldato per la musica.
Con la tua Non può fare male sei stato selezionato fra i sedici artisti finalisti per le Nuove Proposte di Sanremo 2017. Cosa ti aspetti da questa esperienza?
Non so ancora se arriverò all’Ariston o se succederà come anni fa, quando con Le Strisce mi segarono a un passo dalla partecipazione al Festival. Se mi vorranno io darò il massimo: ho bisogno di un megafono con cui raccontare attraverso la musica tutto il casino che ho in testa. Se mi chiuderanno le porte in faccia, allora mi rimboccherò le maniche e ricomincerò ancora. Per me è stato una fortuna fare la gavetta per più di dieci anni, è solo grazie a questo che oggi posso campare scrivendo canzoni, se riuscirò a farlo anche come artista sarà un onore.