Un progetto unico, di difficile categorizzazione, quello che unisce Francesco De Gregori e Mimmo Palladino, insieme per Anema e Core, il lavoro definito come un “gesto artistico”, un’unione tra musica e arte. Il disco presentato oggi in conferenza stampa dai due artisti è frutto di una collaborazione “tra due amici” ma allo stesso tempo inaspettata. Da una parte, infatti De Gregori, il cantautore puro, rigoroso, che ha messo la voce per la sua reinterpretazione del classico napolateno; dall’altra Mimmo Paladino, un artista da sempre ‘impuro’ e scanzonato – nella pittura così come nel cinema, nella fotografia e nel teatro – che per il disco ha realizzato un’opera d’arte.
Anema e Core, infatti, è un progetto che raccoglierà due nuove interpretazioni del brano scritto nel 1950 dal musicista Salve D’Esposito e dal paroliere Tito Manlio, una nuova veste dove il cantautore romano ha unito la sua voce a quella della moglie per due versioni – una acustica, l’altra orchestrale – che verranno stampate su un vinile a 10 pollici per cui Paladino ha appositamente realizzato a mano una xilografia in produzione limitata.
«Come molte cose che mi capita di fare, l’idea di Anema e Core è nata per caso», ha detto oggi De Gregori durante la conferenza stampa. «Possiamo chiamarla illuminazione, un momento in cui ti passa qualcosa per la testa e pensi “si potrebbe fare”. L’idea di cantare questa canzone insieme a Chicca è nata a Napoli: forse eravamo al mare, forse ho pensato a un posteggiatore che la cantava di continuo. Quel giorno il posteggiatore non si fece vedere, e ho iniziato a cantarla davanti a mia moglie. Piano piano l’abbiamo cantata insieme e ci è piaciuta, ci è piaciuta la storia, il modo in cui suonavano insieme le nostre voci. Sono andato a leggere il testo e ho capito la drammaticità della canzone. Da lì è nata l’idea di farne un pezzo».
«Io e Mimmo siamo amici da tempo, ci sentiamo e ci vediamo spesso, e un giorno gliel’ho fatta sentire», ha poi aggiunto parlando della collaborazione insieme a Paladino. «Quando siamo arrivati al discorso della copertina era inevitabile che Mimmo mi dicesse: “Possiamo fare qualcosa insieme, ti posso dare una mano”. Io non vedevo l’ora, e all’inizio pensavo avrebbe fatto come per Dalla [per l’album Henna, nda], un disegno da sbattere in copertina. Ma sapevamo entrambi che questo non bastava. Non perché non abbia valore, ma perché quell’immagine avrebbe avuto un trattamento seriale, industriale, sarebbe stata stampata male. Il passo successivo è stato crreare un’opera tirata in 99 esemplari, una xilografia, che sarebbe diventata un’opera d’arte ‘trasformata’ nell’involucro di un’altra opera d’arte. È un esperimento che nessuno ha mai fatto prima e sperimentare fa bene a tutti e due: fa bene al mondo dell’arte rappresentato da Mimmo e al mondo della musica che io mi ostino a definire arte. Più gli innesti a questo mondo sono imprevedibili più diventano interessanti. Soprattutto in un mestiere come il mio, dove si lavora spesso sulla prevedibilità, su quello che si pensa che il mercato possa volere. Noi abbiamo buttato il cuore oltre l’ostacolo, l’ostacolo ci è piaciuto e il risultato è questo. Ne siamo fieri».
La parola è poi passata a Paladino, con l’artista che ha raccontato l’unicità del lavoro nato insieme a De Gregori: «Quando Francesco mi ha detto “voglio cantare Anema e Core” io ho pensato: Mah, siamo in un territorio pericoloso. Non tanto per la lingua ma per la tradizione: Anema e Core è un pezzo sospeso tra Sorrento, Capri, atmosfere anni ’50… ho subito pensato che il disco doveva essere un vinile. Ed è dai solchi, dall’unicità con cui viene inciso ogni vinile che mi è venuta l’idea di creare una vera opera d’arte. Mi sono detto: “inciderò delle lastre di linoleum e dipingerò a mano”. Questo è un pezzo che si limita da solo, perché non si può riprodurre all’infinito, perché prodotto con un metodo antico, seguendo un’idea ‘arcaica’ del fare per un oggetto sospeso tra la grafica, il design, la pittura. Detto questo, io sarei stato pronto anche a dire: “Si tiene in cassaforte, ce lo teniamo noi”. Invece è giusto farlo vedere, farlo ascoltare».
Quella di Anema e Core è solo l’ultima delle tantissime ‘scappatelle’ di De Gregori nel mondo dell’arte, tra i lavori passati con Piero Pizzi Cannella o la sua prima opera esposta appena qualche anno fa in una galleria d’arte. «Quando fai lo stesso mestiere per tanti anni ti viene voglia di sporcarti le mani. Dopo un po’ che canti, scrivi dischi e fai concerti… L’occasione di farsi invadere da un artista che lavora in un altro campo è ghiotta, è come un’iniezione di giovinezza perché ha a che fare anche con l’incoscienza, con il superare i propri limiti, e di questo brivido vive il lavoro di un artista».
«La mia prima opera, un’installazione, era nata dalla collaborazione con Lucia Romualdi, e aveva a che fare con il ritmo, la lontananza e le maree», ha aggiunto il cantautore. «Un esperimento ritmico che andava fuori dai canoni della musica, ma funzionava, e sono molto contenti di aver fatto quella mia prima “invasione di campo”. Il discorso con Mimmo Paladino è molto diverso, e devo dirvi che ho faticato molto di più. Il mio timore era che l’aspetto industriale della produzione che c’è dietro i dischi, che tutto il linguaggio del mondo della discografia non riuscisse a dialogare con il mondo di Paladino, molto più rarefatto e più colto. Invece abbiamo preso in mano un grimaldello ideale, in modo da aprire una porta fra due forme artistiche che non si parlano molto tra di loro».
«Se avete presente il rapporto tra Dante e Virgilio allora potete ipotizzare l’incursione di De Gregori in un campo che non è il suo, se non come “amante dilettante” dell’arte», ha continuato. «Io mi sento così, un uomo che ama l’arte istintivamente, una vittima del bello». «Virgilio porta Dante all’Inferno, e andare all’inferno è sempre interessante. Certo, dipende da chi ce lo offre», ha risposto Paladino.