Dietro le quinte del concerto degli Slipknot a Milano | Rolling Stone Italia
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Dietro le quinte del concerto
degli Slipknot a Milano | Le foto

Abbiamo incontrato il chitarrista Jim Root prima del furioso concerto (tutto esaurito) al Forum di Assago: «Abbiamo visto l'inferno, ma ora siamo tornati»

«Ma che cazzo», dice (in italiano) Jim Root, chitarrista degli Slipknot, quando gli dicono che la nostra chiacchierata è finita, deve prepararsi per suonare. Siamo nel backstage del Forum di Assago, manca poco a quello che Corey Taylor (voce), dopo qualche canzone, definirà «il miglior concerto degli Slipknot in Italia, voi italiani siete davvero fuori di testa».

È una cosa di cui Jim Root è al corrente: ha passato un mese qui in zona, prima di partire in tour, da metà gennaio in Irlanda (è fidanzato con Cristina Scabbia, voce dei Lacuna Coil). Jim Root è una delle colonne del gruppo metal più importante del momento – una band che, dirà Taylor dal palco, «è stata all’inferno ed è tornata». Se gli Slipknot sono tornati con un album dopo sei anni (e dopo la morte del bassista Paul Gray e la separazione dal batterista Joey Jordison) lo dovete a Jim, che si è seduto a un tavolo e ha scritto la maggior parte di .5: The Gray Chapter in un mese e mezzo. Abbiamo passato con lui alcuni minuti prima dell’unica data italiana del Prepare for Hell Tour.

Slipknot

Arrivate da diversi concerti insieme ai Korn. È un gruppo che ascoltavi quando hai formato gli Slipknot?
Altri nella band sì. Io ho ascoltato i loro primi due album, ma ero preso dagli stessi gruppi di sempre: Beatles, Led Zeppelin, Who. Anche Megadeth, Slayer se facevano qualcosa di decente. Sono dovuto andare in tour per uscire dall’Iowa e ricevere una vera educazione musicale.

Come sono cambiati i tuoi gusti negli anni?
Non ne potevo più di tutto questo metal. Suonavo metal, andavo in tour con band metal tra cui non c’era la minima differenza. Facevamo eventi nei negozi (quando ancora c’erano negozi che vendevano musica) e alla fine ci lasciavano prendere qualche cd. All’inizio ho iniziato a prendere la ristampa su cd di vinili che i miei genitori avevano in casa, ma poi ho iniziato a dire: “Ok, ho sentito parlare di questi Radiohead, fammi dare un’occhiata. Ho letto dei Blur, fammi prendere questo cd”. E così Björk, Portishead, Massive Attack. Erano artisti di cui avevo completamente mancato il momento d’oro, sono arrivato dopo.

 

Jim Root sul palco del Forum di Assago (foto Michele Aldeghi)

Jim Root sul palco del Forum di Assago (foto Michele Aldeghi)

Questo ha cambiato il modo in cui suoni?
Ho scoperto di ammirare musicisti come Thom Yorke, Jonny Greenwood e persino suo fratello Colin. Il loro modo di suonare mi ha fatto crescere. Quando scrivo però preferisco concentrarmi sulla musica con cui sono cresciuto. La musica per me è come quel profumo che ti ricorda quel momento specifico della vita. Se voglio una sensazione so che la troverò, ad esempio, in Physical Graffiti o The Wall.

Avete cambiato le maschere. Come funziona?
Non mi piace cambiare la maschera in modo drastico. Voglio però che evolva, perché anche io sono una persona diversa da quello che ero qualche anno fa. Nel frattempo mi è anche cresciuta la barba e non volevo tagliarla, quindi ho cambiato la forma della maschera.

Quando indosso la maschera
mi sento liberato.

Quante maschere porti con te in tour?
Ora ne ho solo due, quindi è meglio che non mi venga l’idea di tagliarmi la barba perché altrimenti non saprei come fare. Ci si mette un po’ a farne una nuova perché devono essere perfette, altrimenti ti danno fastidio mentre suoni.

Perché continui a usare la maschera, ora che tutti sanno che faccia hai?
Dopo 16 anni di dischi e tour non saprei come fare senza la maschera, starei sul palco in un modo completamente diverso. La maschera toglie le inibizioni, mi sento liberato. Quando la indosso mi sento protetto, ho un’altra personalità che posso mostrare senza problemi. Quando ho la maschera, chi mi guarda non sa se sorrido o sono triste, può solo guardarmi negli occhi e ne resta intimidito.

Non le toglierete neanche in un momento speciale?
Avevamo pensato di farlo ad Halloween, per fare un gioco di opposti: noi siamo mascherati tutto l’anno, ad Halloween mostriamo la nostra faccia. Ma non ce l’abbiamo fatta.

Sto imparando di nuovo ad andare in tour con la mia band.

La dimensione live che cosa rappresenta per gli Slipknot?
Sai che non lo so? È una cosa che sta cambiando. Abbiamo iniziato su palchi piccoli e in 9 era un caos totale. Ora il Forum di Assago è il palazzetto più piccolo del tour, eppure il pubblico resta comunque distante e lo scambio di energia è diverso. Insomma, prima i fusti di alluminio finivano nel pubblico, ora rimbalzano in giro per il palco. Se devo essere sincero, ora sto facendo soprattutto una cosa: sto imparando di nuovo ad andare in tour con la mia band.

Ma le giornate in tour non sono ripetitive?
È vero, la prossima volta questo posto sarà com’è stasera. Ma magari Corey avrà un altro figlio, avremo un altro tourbus per i nuovi arrivati in famiglia…

E tu magari ti sarai sposato.
Eh no… non è che ti ha mandato Cristina?

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